Yemen, la strage degli innocenti dimenticati

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Durante la riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, tenutasi a New York lo scorso 27 gennaio, il capo degli affari umanitari Stephen O’Brein lancia l’allarme sulla situazione in Yemen, dove sarebbe in corso la «più grave crisi alimentare nel mondo». O’Brein ha poi precisato che sarebbero «2,2 i milioni di bambini che soffrono la fame» e «10,3 i milioni di yemeniti che necessitano di assistenza medica per sopravvivere». Una situazione catastrofica, conseguenza dell’inasprimento dei conflitti, dei combattimenti e degli attacchi aerei e che rischia di portare «la carestia nel 2017» in considerazione anche del fatto che stime Onu parlano di «18,2 milioni di persone colpite dall’emergenza cibo».

A sottolinearlo è l’inviato speciale dell’Onu in Yemen, Ismail Ould Cheikh Ahmed, lo stesso finito nel mirino del movimento per la resistenza Ansarullah con l’accusa di essersi «schierato con gli invasori tacendo sui crimini sauditi». Parlando alla rete televisiva yemenita Al-Masirah, il portavoce di Ansarullah, Mohammad Abdulsalam, ha dichiarato che Ismail Ould Sheikh Ahmed «non può pronunciare una parola di verità». Aggiungendo inoltre che durante la visita dell’inviato nella capitale Sana’a «la coalizione a guida saudita ha effettuato numerosi attacchi contro lo Yemen, ma l’inviato dell’Onu non ha mostrato alcuna reazione».

Anche Amnesty International ha più volte denunciato la grave situazione in cui versa l’intera nazione, i «terribili abusi dei diritti umani e crimini di guerra» compiuti in tutto il Paese e che causano «ai civili sofferenze insopportabili». Amnesty ha documentato abusi dei diritti umani «perpetrati da tutte le fazioni coinvolte» negli scontri. Secondo i dati raccolti «ognuna delle parti in conflitto ha commesso violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario» portando oltre l’80% della popolazione a dover dipendere dagli aiuti umanitari.

Le parti sono da un lato lo schieramento armato degli houthi, alleati dei sostenitori dell’ex presidente yemenita Ali Abdullah Saleh, e dall’altro le forze anti-houthi alleate del presidente Abd Rabbu Mansour Hadi e della coalizione a guida saudita.

Amnesty International afferma di aver documentato 30 attacchi aerei in sei diversi governatorati (Sana’a, Sa’da, Hajjah, Hodeidah, Ta’iz, Lahj) da parte della coalizione a guida saudita che «risulta abbiano violato il diritto internazionale umanitario». Tra questi attacchi, «alcuni sembrano aver deliberatamente preso di mira i civili e obiettivi civili», come ospedali scuole moschee mercati.  La coalizione a guida saudita «ha usato anche munizioni a grappolo», esplosivi letali banditi dal diritto internazionale. Tutti atti che «potrebbero essere definiti come crimini di guerra». Sono stati inoltre monitorati 30 attacchi di terra (posti in essere sia da parte degli alleati sia dagli oppositori delle milizie houthi) ad Aden e Ta’iz «che non hanno fatto distinzione tra combattenti e civili». Ogni schieramento ha «usato armi imprecise, quali artiglieria e mortai o razzi Grad» in aree civili densamente popolate e residenziali, «lanciando attacchi su abitazioni  scuole, ospedali o nelle loro vicinanze». Ognuno di questi attacchi è «una grave violazione del diritto internazionale umanitario ed è considerabile come crimine di guerra».

È il 18 agosto 2016 quando Medici Senza Frontiere annuncia con una nota pubblicata sul sito di aver deciso di evacuare il proprio staff dagli ospedali che supportava nei governatorati di Saada  e Hajjah, nello Yemen settentrionale, come conseguenza del «bombardamento aereo dell’ospedale di Abs il 15 agosto, che ha provocato 19 morti e 24 feriti». Affermando che quello contro l’ospedale di Abs è stato «il quarto e più letale attacco contro strutture supportate da MSF» ma che ci sono stati «altri innumerevoli attacchi contro altre strutture e servizi sanitari in tutto lo Yemen».

Medici Senza Frontiere dichiara di aver costantemente condiviso con tutte le parti in conflitto le coordinate GPS degli ospedali in cui lavora. I rappresentanti della coalizione dichiarano ripetutamente di onorare il Diritto Internazionale Umanitario, ma «questo attacco mostra che hanno fallito nel controllare l’uso della forza». Inoltre MSF non è rimasta «né soddisfatta né rassicurata dalla dichiarazione della coalizione secondo cui questo attacco è stato un errore» e chiede a gran voce alla coalizione a guida saudita e ai governi che la supportano, «in particolare Stati Uniti Regno Unito e Francia, di garantire l’applicazione immediata di misure volte ad aumentare in modo sostanziale la protezione dei civili». Durissima è la condanna di MSF verso tutti gli attori coinvolti che stanno conducendo questa guerra compiendo «attacchi indiscriminati senza alcun rispetto dei civili». D’altronde il fatto che staff medico e persone malate e ferite vengano uccise all’interno di un ospedale dice tutto «sulla crudeltà e la disumanità di questa guerra».

Alla luce di tutto ciò le parole del capo degli affari umanitari dell’Onu, Stephen O’Brein, non possono essere considerate come una vera e propria denuncia che desta meraviglia bensì come una constatazione non più evitabile di una situazione disastrosa ripetutamente notificata da organizzazioni che operano a vario titolo in ambito internazionale.

Amnesty International sottolinea il dato che Regno Unito, Stati Uniti, Francia, Italia, Olanda e Spagna hanno «sostenuto licenze e vendite all’Arabia Saudita per un valore superiore ai 25 miliardi di dollari nel 2015, includendo droni, bombe, siluri, missili e razzi». Va ricordato che parte di detti Stati hanno aderito al Trattato sul commercio delle armi che ha lo scopo di “ridurre la sofferenza umana” e che rende illecito trasferire armi dove vi è un alto rischio che le armi possano essere utilizzate per commettere serie violazioni del diritto internazionale.
«Il mondo non ha soltanto voltato le spalle alla popolazione dello Yemen; molti Stati hanno in realtà contribuito alle sue sofferenze, fornendo armi e bombe che sono state utilizzate per uccidere e ferire illecitamente civili e distruggere case e infrastrutture. Questo ha causato una catastrofe umanitaria.» (cit. Brian Wood, direttore campagna Esportazione di armi e diritti umani di Amnesty International)

Nel report 2016 Yemen’s Children Suffering in Silence Save The Children denuncia la drammatica situazione del Paese, dove quasi il 90% dei bambini necessita di aiuti umanitari d’emergenza. Il direttore generale dell’organizzazione, Edward Santiago, punta il dito sui governi internazionali, i quali «scegliendo di sostenere l’azione militare e ignorando le conseguenze devastanti per i civili, stanno esacerbando la crisi e mettendo a repentaglio la vita dei bambini». È la stessa Onu, per tramite di Jamie McGoldrick, dell’Ufficio per il Coordinamento degli affari umanitari, a stimare in oltre 10mila i civili morti nei soli ultimi due anni e in oltre 40mila i feriti nello stesso lasso di tempo. Stando ai dati del rapporto 2016 Childhood on the Brink. The Impact of Violence and Conflict on Yemen and its Children dell’Unicef, nel solo 2015 oltre 900 bambini sono stati uccisi e oltre 1.300 sono rimasti feriti.

Quasi un anno fa la rappresentante dell’Unicef nello Yemen, Julien Harneis, affermava che «i bambini stanno pagando il prezzo più alto per un conflitto che non hanno voluto. Sono stati uccisi o feriti, e anche quelli sopravvissuti rischiano di perdere la vita. Anche giocare e dormire è diventato pericoloso». Se una guerra che colpisce staff medico e persone ferite può a buon diritto essere etichettata come crudele e disumana non si può fare a meno di chiedersi come bisogna definirne una, la stessa, che sfoga rabbia e potere contro i bambini che rappresentano sempre e ovunque la reale e incondizionata innocenza. E ancora, se ci fosse un modo per cancellare atrocità e dolore facendo scomparire armi e potere siamo davvero certi si scelga di utilizzarlo rinunciando a privilegi interessi e denaro?

Il primo ottobre 2016 è uscito sul New York Times un articolo a firma di Amanda Taub nel quale l’autrice si interrogava su quali potessero essere i motivi per cui alcune guerre fanno notizia, come quella in Siria, e altre meno, come quella in Yemen. Anche le guerre molto violente combattute nel Nord dell’Uganda, nella Repubblica Democratica del Congo, nel Sud del Sudan, nella Repubblica Centrafricana, in Somalia… hanno riscontrato scarsissimo interesse da parte dei media e, di conseguenza, dai cittadini non solo statunitensi. La ragione che fa della Siria un’eccezione può essere innanzitutto la presenza dello Stato Islamico che viene individuato come il nemico numero uno da tutti gli occidentali, almeno dalla uccisione di Osama Bin Laden. Ed è qui che entra in gioco la prima contraddizione. Se il terrorismo di matrice islamica desta così interesse da parte del pubblico occidentale al punto che i media ne parlano quotidianamente, perché così non è per l’operato di Aqap, la divisione yemenita di al-Qaida che ha rivendicato tra l’altro l’attentato al giornale satirico parigino Charlie Hebdo? Se lo Stato Islamico fa notizia in quanto è ritenuto dagli occidentali un pericolo reale perché non è lo stesso per Aqap?

Il motivo potrebbe essere che il flusso migratorio dallo Yemen è pressoché inesistente al contrario di quanto accade in Siria e quindi l’eventuale pericolo viene visto e vissuto come remoto, lontano. Inoltre mentre nel caso siriano è stato fin troppo facile individuare il “cattivo” nello Stato Islamico, nel caso yemenita ciò non è altrettanto semplice. Permangono comunque le certezze che, per gli operatori umanitari, i conflitti come quello combattuto in Yemen rappresentano, per i civili di ogni età, «una corsa contro il tempo», come sottolinea l’Unicef, affinché si riesca a fare tutto il possibile per scongiurare il rischio che Paesi come lo Yemen diventino dei «non-Stato, con conseguenze di vasta portata e su lungo termine per i bambini e per le loro famiglie».


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