La resistibile ascesa del terrore

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“Questa è l’ora del piombo-
Che ricorda chi sopravvive,
Come gli assiderati, la neve-
Dapprima una sensazione di freddo-
Poi lo stupore.
Infine la resa “

Al di là del tempo, la poesia di Emily Dickinson illumina il nostro presente con l’immediatezza lacerante delle parole scritte nel 1862, prese in prestito per esprimere l’emozione di oggi. L’anno vecchio ci ha lasciati con una lunga scia di sangue e l’orribile sensazione che la nostra civiltà occidentale, laica, democratica e garantista è fragile e vulnerabile. Quasi impossibile combattere contro un nemico subdolo e impregnato d’odio, che vive nel sottosuolo, si nutre di carne umana, inneggia alla morte e rifiuta la vita e i suoi doni; soprattutto, il valore sacro della leggerezza, ingrediente indispensabile per cogliere appieno il senso dell’esistenza.

Mentre noi preparavamo i calici per festeggiare l’Anno Nuovo insieme agli amici più cari, colmi di desideri da condividere al brindisi, neanche ci siamo accorti che un ballo di Capodanno in un locale alla moda ad Istanbul si era trasformato in una “mattanza”. Un replay della tragedia al Bataclan di Parigi, che per una serie di coincidenze abbiamo vissuto personalmente da vicino, così come la strage all’aeroporto di Zaventem a Bruxelles. Casualità o più semplicemente familiarità con luoghi che fino a ieri ci sembravano tranquilli. Un aeroporto in fin dei conti è un posto dove si parte e si arriva, un incrocio di esistenze, di esperienze, di culture e di emozioni, così come lo sono un locale per divertimenti, la metropolitana, i bar, i ristoranti, i lungomari di una notte d’estate, i mercati natalizi: simboli irrinunciabili del nostro vissuto quotidiano. Chi si abbracciava e ballava nella notte del Primo dell’anno al Reina Club d’Istanbul, felice di gettare alle spalle un anno bisestile orribile, non poteva certamente immaginare che le raffiche di kalashnikov avrebbero messo a tacere per sempre la musica, che allietava quella serata.

Le rive illuminate del Bosforo hanno fatto da sfondo alle grida laceranti, al sangue e al terrore sprigionato da chi vorrebbe oscurare l’antica Costantinopoli, città affascinante, sospesa tra Oriente ed Occidente con la sua storia cosmopolita e la sua doppia anima culturale. In una Turchia tormentata dall’instabilità politica e dai continui attentati, quelle persone di tante nazionalità e religioni diverse avevano scelto di passare una serata di felicità, in una notte che da sempre nel nostro immaginario è un momento liberatorio di speranze per il futuro, dove stappare bottiglie e versare bollicine è un modo per augurare il Bene e la continuità della Vita.

A tutto ciò si oppone il Male. “Noi amiamo la morte, come voi amate la vita”: è purtroppo la parola d’ordine dell’universo jihadista e della devianza estremista d’un islamismo che rifiuta la modernità e che vorrebbe farci precipitare nelle tenebre dell’oscurantismo, ispirato ad un nichilismo senza fine, laddove non c’è futuro, ma solo vuoto e apocalisse.  Noi restiamo attoniti e impauriti. Non irrazionali, semplicemente consapevoli che il rischio ormai fa parte della nostra quotidianità. Continueremo a difendere consuetudini e libertà, ma vivere col pericolo in agguato ha già modificato il nostro modo di essere.

Il 2016 si è chiuso con la strage al Mercatino di Natale di Berlino. Da Charlie in poi, la mappa della simbologia laica e occidentale da colpire traccia un perimetro del terrore ben preciso, che temiamo ancora pronto ad allargarsi. Intanto, le belve assassine ci hanno abituati alla sofferenza, a non poter trattenere le lacrime. Ci vorrebbero controparte di una guerra che non abbiamo dichiarato e che non riconosciamo nostra. I fatti del giorno sono per ora fermi ad Istanbul, ma noi con il cuore siamo rimasti a Berlino e vorremmo iniziare il 2017 con un ricordo affettuoso di Fabrizia Di Lorenzo.

Fabrizia era, ma ci suona innaturale parlarne al passato, una di quelle giovani donne, ancora ragazze per i tanti sogni nel cassetto e la freschezza del sorriso, che appartengono “alla meglio gioventù”, con la valigia sempre pronta, ricca di competenze, saperi, entusiasmo, per correre laddove, pur a fatica, un lavoro forse c’è. I nostri ragazzi sono abituati a parlare più lingue e a viaggiare per l’Europa fin dai banchi del liceo. Contano sulle proprie forze e sperano nella sostanza della meritocrazia. Lasciano a malincuore la terra dove sono nati, avviliti dalla mediocrità che li circonda, estranei alla logica meschina delle raccomandazioni e delle “clientele” di chi li considera “figli di un Dio minore”, di chi preferisce occuparsi solo delle proprie “creature”, poco importa se hanno titoli taroccati.

Si scrollano di dosso, come polvere molesta, gli appellativi più offensivi: “bamboccioni”, “schizzinosi”, “sfigati”. E non tentennano a “levarsi dai piedi”! Si tappano le orecchie, per non udire le tante grossolanità da osteria, anche se pronunciate nelle stanze dei “piani alti”, foderate di velluto, dove alligna una sottospecie politica cialtrona e inconcludente, abituata agli intrighi di palazzo ed estranea a noi gente comune, sfiancata, ma non doma.

Quella sera del 19 dicembre, gli angeli di Wim Wenders, Damiel e Cassiel, non volavano alto nel “Cielo sopra Berlino”, non sono riusciti a proteggere la realtà sotto di loro, a salvare i destini di chi fra le bancarelle si aggirava attorno a quel che resta della Chiesa del Ricordo, la Gedächtniskirche, eretta in memoria dell’Imperatore Guglielmo, e dopo il bombardamento del novembre del ‘43, diventata testimonianza della distruzione che la guerra portò con sé.

I mercati di Natale dei paesi nordici si assomigliano un po’ tutti: casette di legno addobbate, in file ordinate, profumi di cibo popolare e di vino caldo speziato, aromi di zenzero e cannella che circolano nell’aria. Il freddo è sempre pungente e ci si scalda tenendo tra le dita cartocci di frittelle di mele o di patate fritte. Ci si sente protetti tra la gente, si respira calore umano, si ritorna tutti un po’ bambini e si pensa che questa gioiosità sia contagiosa ed eterna. Ci si gode qualche ora di semplice divertimento fra le luci natalizie, alla fine di una giornata di lavoro e si assapora la dolcezza e l’intimità che la vigilia del Natale porta con sé. Non si pensa che tonnellate di ferocia assassina possano piombare all’improvviso a spegnere la luce. E allora le vite “spezzate” dal terrore inumano ci frantumano l’animo, ci fanno sentire le storie e le esperienze di ragazze come Fabrizia comuni a quelle delle nostre figlie, seppure lontane ma vicine in ogni istante, anche loro alla ricerca di qualcosa di certo, di un futuro più rassicurante, tollerante e non divisivo.


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