Ascoltando Saviano si ha la dolorosa impressione di aver perso terreno nella lotta al male.

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Messaggi celati dietro le parole di Riina jr, figlio del boss di Cosa Nostra Totò Riina, durante l’intervista a Porta a Porta nella puntata di mercoledì 6 aprile, è questa la riflessione di Roberto Saviano ospite da Fabio Fazio a Che tempo che fa.
Parole gravate di un significato diverso  e pronunciate davanti a spettatori a cui è stata negata la possibilità di accorgersene, a molti ma non a tutti, perché secondo lo scrittore di Gomorra e Zero, Zero, Zero l’eco perentorio delle affermazioni di Riina è giunto con la pienezza della logica mafiosa più oscura e per questo è necessario tradurlo.

“Un mafioso va in TV esclusivamente per mandare un messaggio”, il primo ruota intorno al proprio ruolo, non è lì come capo famiglia, non si sta in alcun modo sostituendo al padre, nessuna opinione, nessuna giustificazione, nessuna ammissione, nessun barlume di umanità. Tutto ruota intorno al “dovrebbe chiederlo a lui” nel rispetto assoluto di quella che Saviano chiama “la sintassi mafiosa”, la stessa liturgia che Angelo Provenzano segue in un’altra intervista televisiva realizzata in passato per Servizio Pubblico.

Va in scena “l’apologia della famiglia” per riaffermare i “valori” della vecchia Cosa Nostra da contrapporre alla nuova Cosa Nostra, il rispetto, il bene, la presenza solo questo conta per un figlio, il male assoluto esercitato su uomini innocenti capaci di rianimare il respiro di un paese che s’arresta non va giudicato o meglio non esiste.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uomini puri fedeli alla giustizia e agli umiliati diventano così le anonime vittime di un’anonima violenza, anime morte.

La parola mafia resta impronunciabile, e di fronte alla domanda più diretta di Bruno Vespa “Cos’è la mafia?” alla citazione di Peppino Impastato, privilegio d’amore che attraversa la mente delle persone per bene “La mafia è una montagna di merda”, il figlio del boss risponde: “Oggi la mafia può essere tutto o nulla, non me lo sono mai chiesto”.
Le esigenze sono mutate, per questo motivo secondo Roberto Saviano Riina è lì, su quella sedia ad ascoltare un Bruno Vespa che resta impercettibile anche fisicamente, mai nessuna inquadratura del suo volto, nessun racconto mimico a memoria di una pagina di umiliante inferno.
Le esigenze sono mutate, e Riina “si trasforma in un esperto dei pentiti, conosce i loro nomi, conosce chi sono, conosce le loro pene e i loro sconti di pena” quello che fino a pochi minuti prima disconosceva la mafia ora ne disegna i protagonisti.

Saviano descrive perfettamente quello che a molti, ma non a tutti, era rimasto segreto, Riina è lì per dire “io non mi pento”, affermo le mie responsabilità ma senza fare i nomi degli altri, è un discorso diretto alla magistratura a cui secondo lo scrittore, il figlio del boss chiede per il padre la fine del 41bis, il regime di carcere duro, ed è un messaggio diretto alla nuova Cosa Nostra, noi siamo diversi.
“Vivere è perdere terreno”, scriveva E.M.Cioran, ascoltando Roberto Saviano si ha la dolorosa impressione di aver perso terreno nella lotta al male.


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