Incesto tra politica e giornalismo

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Quel teatrino triste. Già girano le scatole per l’inadeguatezza della politica, come ne è uscita rappresentata in Parlamento, ad affrontare i problemi drammatici del Paese. In più, ci si mette il modo del suo racconto. Da parte dei partiti e dei movimenti quando si rappresentano. E da parte del cosiddetto giornalismo-politico quando dovrebbe farci capire qualcosa di ciò che accade o non accade. Il problema neppure tanto nascosto ma mai adeguatamente denunciato è la sostanziale confusione dei ruoli. Troppa vicinanza e pericolose commistioni. Un sintomo? Ben 55 Onorevoli giornalisti nell’attuale Parlamento. Ed è legittimo. 43 di questi bravi colleghi sono a Montecitorio, 6,8% del tutto. 12 di loro, un povero 3,8% si annidano al Senato. C’è da dire, in difesa della categoria, che gli avvocati ci battono di larga misura. I giornalisti sono soltanto a metà classifica, fotografia del ceto, sempre nel mezzo. Ovviamente questo pone qualche problema tra ruolo del rappresentante eletto e quello di chi dovrebbe rappresentare per mestiere. Autorappresentazione?

L’infiltrato 5 S. Dettaglio ironico: in questo pasticcio tra politica praticata e politica raccontata, la presenza di uno, dicasi uno, deputato 5 stelle, che si dichiara “giornalista”. Autodenuncia o beffa? Cercheremo di sapere, ma nel frattempo resta il gusto amaro di un pastrocchio eterno tra partiti e informazione. Oltre la lottizzazione Rai, l’idea dell’inciucio, della recita di parti in commedia.  A cominciare dal linguaggio. Tra il politichese di antica data e la semplificazione estrema del vaffa di Beppe Grillo, c’è spazio -ci sarebbe spazio- per una lingua terza, quella della stragrande parte di noi, mediamente colti, mediamente politicizzati, mediamente bene educati. Ma la politica e il giornalismo, che frequenta troppo da vicino i partiti, si autocontaminano. I politici rilasciano ormai dichiarazioni da spot televisivo e il giornalismo povero regge il microfono. Quello di lusso passa dai salotti della politica a quelli tv e, con la stessa disinvolta leggerezza da cocktail party, spara cavolate in libertà. In nome di chi non si sa, neppure dei suoi presunti lettori. Sempre di meno, e con ragione.

Giornalismo come? Ruolo terzo e di garanzia quasi costituzionale quello del giornalismo che, come molte altre antiche idealità, sta evaporando nella nebbia del bla bla televisivo o nella libera cavolata via web. Problema tra i problemi oggi, l’uso del linguaggio per parlare o scrivere di politica e di partiti. Il linguaggio come specchio riflette un’immagine davvero poco seducente sia della politica, sia di partiti o movimenti. Sia del giornalismo. Non dev’essere un caso che -pochi lo hanno notato- la parola informazione non compare una sola volta nel testo della Costituzione. Pensare che in quella svedese del 1766 c’era scritto non solo del diritto dei cittadini ad essere informati ma  anche del libero accesso alle fonti. Problema dell’Italia del 1945 era quello di fare tutto il contrario di ciò che aveva fatto il fascismo. Assicurare prima di tutto la libera manifestazione del pensiero, inteso soprattutto al servizio di una causa politica, di una ideologia o di grandi interessi e, soltanto dopo, al servizio del lettore. Senza aver letto la Costituzione, per molti l’istinto è ancora quello.

La Croce di Benedetto. Alle origini della Prima Repubblica si proclamava: «Nessun giornale senza partito, nessun partito senza giornale». Al punto da spingere Benedetto Croce a sostenere che «il giornalista è personaggio politico non meno del deputato e del ministro». Scomparso nel 1952, il grande filosofo non ebbe tempo di assaggiare la televisione e pentirsi di quelle parole. Poi, per non tirarla troppo alle lunghe, fu il ventennio berlusconiano dove il vecchio giornalismo militante fu militarizzato a forza. Oggi è ancora legittima, credibile, la parodia di certo giornalismo che impone come “terza Camera” il Porta a Porta di Bruno Vespa o il più plurale salotto di Ballarò? Spesso si fatica a distinguere tra giornalista e politico ospite. Partita di giro, a volte, tra direttori di giornali fantasma e politici in agonia. Confesso la mia invidia nei confronti degli impavidi facitori del “pastone politico” quotidiano. Invidia nata al Tg1dove molti colleghi venivano direttamente da Il Popolo (allora esisteva) e pochi pochi dall’Unità (allora si leggeva). Coraggio a metterci la faccia.

Autogrilliamoci. Scriviamo e leggiamo di crisi della politica, dei partiti, dell’economia, e siamo -come informazione- nei guai sino al collo. Soltanto crisi economica per caduta pubblicitaria o altro? Altro, molto altro, penso io. Il sistema della comunicazione è preso a spallate, assieme alla politica, dalla “Rete”. Grillo fa politica a modo suo e rivoluziona non soltanto il Parlamento ma il concetto stesso di informazione politica. E il giornalismo dorme o, se si agita, è in difesa degli ultimi privilegi sopravvissuti nelle grandi testate. Tutte semistrangolate da deficit paurosi e da tagli crudeli. Le televisioni perdono costantemente ascolti sui canali generalisti e campano solo su quelli canali tematici; la radio viene superata da Internet come fonte di informazione. E il giornalismo? Pigramente si avvia verso l’oblio del ‘Così fan tutti’, e tutti lo fanno. Gratis o quasi. Dal mestiere al quasi hobby. Ultimo spunto polemico. Quanti direttori di testate più note vengono dal giornalismo di strada e quanti dal giornalismo politico? Alla Marzullo, fatevi la domanda e datevi una risposta.


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