Giornalismo sotto attacco in Italia

Fuori posto, per una convergenza del lavoro culturale precario!

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Ognuno rimanga al suo posto: Assegnisti di Ricerca (22 mila) in scadenza e in esaurimento; RTD-A (8 mila) anch’essa in scadenza e in esaurimento; dottorandi (40 mila), poi, non sono neanche precari, stiano tra loro; gli studenti, precari lo saranno, ma non è ancora il
momento. E rimangano al loro posto le insegnanti della scuola, non si azzardino a parlare con archeologhe e guide turistiche. Giammai, artisti e lavoratori dello spettacolo dal vivo si mescolino con le maestranze del cinema. Giammai, giornalisti d’inchiesta si mettano in testa
di avere interessi in comune con un comitato di genitori e precari che si battono per i diritti dell’infanzia. Ognuno stia al suo posto, affinché per tutti ci sia una giornata amara, una sconfitta in più, affinché la disfatta sia la regola. Il 3 luglio scorso, sfidando 40 gradi e l’afa romana aggravata dagli incendi continui, abbiamo deciso di farla finita: eccentrici, erranti, abbiamo lasciato il nostro posto. Abbiamo voltato le
spalle al corporativismo che ci viene inflitto dalla contrattazione sociale e politica. Solo uniti, si vince; solo convergendo, possiamo salvarci.
Cosa ci accomuna? Senz’altro l’offensiva della controparte, del Governo Meloni e delle destre mondiali, che odiano la conoscenza, la ricerca, la cultura e l’informazione. Odiano la critica, più in generale, e con questa ogni sperimentazione artistica e culturale che metta in discussione gli assiomi di un’educazione depositaria, decostruendo in primis i confini delle soggettività finora imposti. Così, in Italia, più nel dettaglio: tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario delle università (1,3 miliardi dal 2024 al 2027); eliminazioni e declassamento dei festival storici e dello spettacolo dal vivo indipendente; codice di condotta e ossessione autoritaria nella scuola di Valditara; sotto- retribuzioni e finte partita Iva per il lavoro culturale nelle città d’arte umiliate dal turismo senza regole; licenziamenti e tagli alla programmazione del servizio radiotelevisivo pubblico per cancellare gli spazi di approfondimento, di inchiesta e diffusione di pensiero dissonante. Obiettivo? Continuare a spingere i lavoratori ad accettare l’inasprimento della precarietà del loro lavoro, che li rende più ricattabili e sfruttabili in Italia, spesso motivando un loro espatrio alla ricerca di condizioni migliori per nulla garantite. Rottamare le
precarie “storiche” ovunque lavorino, mortificare il lavoro intellettuale e culturale non solo perché “improduttivo”, ma per paura della sua potenza creatrice e trasformatrice. Spazzare via la politica dai palchi, così come dai banchi, ostacolando ad esempio l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole e gli studi transfemministi e decoloniali nelle università perché pura “ideologia” non conforme all’agenda reazionaria, xenofoba e nazionalista maggioritaria. Poi ci accomuna l’amore, la passione per ciò che facciamo. «Trappola dell’amore», da tempo ci ripetiamo. Trappola, perché l’amore ci fa dimenticare lo sfruttamento, troppo spesso lo rende sopportabile, limitando le lotte sindacali e le mobilitazioni. Non casualmente, dalla scuola all’università, dalla cultura all’informazione, abbondano contratti temporanei, contributi previdenziali scarsi o inesistenti, più in generale salari bassi, ulteriormente erosi dall’inflazione tornata a mordere dal 2021 e ormai radicata nei prezzi alimentari, energetici, abitativi, decretando l’inaccessibilità del mercato immobiliare che ha reso il diritto all’abitare un privilegio. Non siamo più disposti a parlare del nostro lavoro in termini di “passione” tenendo fuori la rabbia: possiamo fare di questa un sentimento vitale, se guidata da un desiderio collettivo di trasformare l’esistente. Rivendichiamo: il lavoro intellettuale e culturale è una forza sociale, che combatte l’onda reazionaria e costruisce libertà e democrazia. Ci accomuna il rifiuto del precariato e del lavoro povero, in ogni settore. Riconosciamo l’attacco al lavoro intellettuale e culturale come parte di un programma più ampio di disciplinamento del lavoro – compreso quello produttivo e riproduttivo – come merce al servizio di interessi privati, pubblici, bellicisti. In nome di queste esigenze, il governo
richiede sacrifici alla società tutta, costringendo ad abbassare le aspettative di benessere materiale e soffocare le spinte di dissenso. La convergenza nasce dal rifiuto collettivo di questa logica e dalla forza della nostra risonanza. Ci accomuna l’essere considerati superflui, strutturalmente eccedenti (e anche indisciplinati, immeritevoli, colpevoli). Meglio, non lo siamo se ci occupiamo di discipline STEM, se non
vediamo l’ora di lavorare per Leonardo e Fincantieri, dedicando le nostre energie migliori alla costruzione di tecnologie e armi letali. D’altronde, con il target del 5% in spesa militare e sicurezza, seppur dilazionato al 2035, l’Italia dovrà aumentare di 9-10 miliardi l’anno la
spesa militare e in infrastrutture. Chi saranno le prime a pagare per questa follia? Non è difficile immaginarlo: welfare (sanità, istruzione, ricerca, previdenza) e lavoro culturale, latamente inteso. Il Governo Meloni, il bellicismo mondiale, le destre di ogni dove, stanno «disoccupando le strade dai sogni». Mentre imperversano crudeltà, macellerie inenarrabili, complicità manifeste come nel genocidio in Palestina, morti su morti tra i civili dall’Ucraina all’Iran, viene imposto un bavaglio al lavoro culturale e intellettuale perché non denunci la brutalità dei nostri tempi, ma stia tacitamente al suo posto. Per tutti questi motivi, e in un’assemblea di rara bellezza, il 3 luglio un’urgenza potente circolava nella discussione. Quella di dare vita a uno sciopero convergente del lavoro intellettuale precario. «Intellettualità dai piedi scalzi», si diceva un tempo. La nostra intelligenza, sempre sottopagata, sempre sotto ricatto, sempre senza voce, ha deciso di alzare la testa, di far gridare i corpi, di lottare. Ci ritroviamo il 9 settembre, con il desiderio di metterci i corpi, per moltiplicare le nostre riflessioni e tradurle in azioni. Vogliono disoccupare le strade dai sogni, riempirle di incubi e di morte: non lo consentiremo, è tempo di sciopero.

 

Dai banchi ai palchi, Roma 3 luglio 2025
Assemblea Precaria Sapienza; Roma Tre in mobilitazione; Assemblea Precaria Tor Vergata; Vogliamo tutt’altro – assemblea di lavoratori dell’arte e dello spettacolo in lotta; Il Campo Innocente; Coordinamento Precari AFAM; Cattive Maestre; CLAP – Camere del Lavoro
Autonomo e Precario; Reset against the war; Assemblea di Report per il giusto contratto; Articolo 21 – Liberi di…; Rete No Bavaglio.


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