L’Albania si trova oggi in una crisi profonda, dove la sovranità nazionale viene lentamente svenduta sotto il peso di interessi stranieri e la complicità di uno Stato spesso assente o complice. In questo scenario, territori, comunità e identità vengono sacrificati in nome di uno sviluppo che rischia di cancellare l’anima del Paese.
Thethi: la resistenza di un popolo tradito
A Thethi, gli abitanti storici hanno preso posizione con forza contro le demolizioni delle loro case e la sottrazione delle loro terre. La protesta più emblematica ha visto la comunità bloccare la polizia al ponte di accesso al paese, fermando un intervento giudicato ingiusto e simbolico della crisi di uno Stato che ignora chi vive e custodisce quei territori da generazioni.
Questo gesto non è solo una ribellione locale, ma un grido disperato contro un sistema che favorisce interessi privati e speculativi a scapito dei diritti dei cittadini.
Shengjin e Gjader: l’ombra italiana sul Nord Albania
Nel nord, Shengjin e Gjader rappresentano un altro capitolo di questa svendita di sovranità. La presenza militare e strategica italiana in queste aree non è solo un retaggio storico, ma un segno di come il Paese resti sotto l’influenza di potenze esterne.
Gjader, oltre a essere una base militare storica, ospita oggi campi per immigrati diretti verso l’Italia, simbolo di una dipendenza che va ben oltre i confini e che alimenta una migrazione forzata.
La base di Shengjin è un avamposto che rafforza la presenza italiana e Nato nella regione, determinando scelte politiche e strategiche che spesso non riflettono la volontà e gli interessi degli albanesi.
Isola di Sazan- il paradiso strategico trasformato dalla famiglia Trump
L’Isola di Sazan, la più grande dell’Albania, situata all’ingresso della baia di Valona, un tempo base militare inaccessibile e oggi parte del Parco Marino Protetto Karaburun-Sazan, è diventata il fulcro di un ambizioso progetto internazionale. A guidarlo è la famiglia di Ivanka Trump e Jared Kushner, con un investimento stimato intorno a 1,4 miliardi di euro.
Il piano prevede la trasformazione dell’isola in un resort ultra-lussuoso: ville esclusive, hotel a cinque stelle, marina privata e infrastrutture turistiche progettate dai migliori architetti internazionali.
Ma dietro l’immagine patinata di un paradiso turistico emergono interrogativi pesanti: Che fine fa il patrimonio ambientale di un’isola inclusa in una riserva marina protetta? Perché un sito di rilevanza storica e strategica viene ceduto con clausole opache a investitori stranieri? Qual è il reale beneficio per la popolazione albanese, esclusa dal dibattito pubblico su un progetto di tale portata?
L’iniziativa ha già alimentato critiche da parte di ambientalisti e attivisti per la trasparenza, preoccupati per l’impatto su un ecosistema fragile e sull’accesso pubblico a beni collettivi. In molti parlano ormai dell’isola come “Ishulli i Trumpëve” – l’Isola dei Trump – simbolo di un’Albania che rischia di cedere pezzi del proprio territorio in nome della globalizzazione del lusso.
Lo Stato: garante o complice?
In tutte queste situazioni, lo Stato appare come un attore ambiguo, spesso incapace o non volenteroso di difendere la sovranità, i diritti e l’identità nazionale.
Non solo non tutela i cittadini e la comunità, ma favorisce la svendita di beni comuni e territori strategici, consegnandoli a interessi stranieri senza trasparenza né partecipazione popolare.
Stiamo cancellando l’Albania. È tempo che lo Stato torni a essere Stato: non padrone, ma servitore del popolo, garante di legalità, sovranità e partecipazione.
