Giornalismo sotto attacco in Italia

Paola Caridi, Sudari. Elegia per Gaza. Feltrinelli 2025

0 0

“E’ in un sussurro l’incontro”, si legge così in esergo a “ Sudari” di Paola Caridi e con un filo di voce sembra iniziare l’elegia per Gaza, un canto funebre che si snoda sommesso, ma implacabile nel denunciare quello che l’autrice non esita a chiamare il genocidio di un popolo. Poco si sapeva di Gaza, un mondo sigillato, un universo concentrazionario, visitato da pochi, funzionari internazionali, diplomatici, giornalisti, volontari internazionali fino alla data fatidica del 7 ottobre 2023 , quando l’attacco terroristico di Hamas aveva lasciato sul terreno oltre millecento tra poliziotti, soldati, civili israeliani e erano stati presi in ostaggio duecento israeliani da scambiare con palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane. Subito dopo quella data si era aperto un altro baratro, quello della reazione israeliana su Gaza, con decine di miliardi di dollari di bombe su oltre due milioni di palestinesi. Sono stati uccisi più di sessantamila palestinesi e sul territorio della Striscia si sono abbattute oltre cinquanta milioni di tonnellate di detriti.

Paola Caridi ci fa notare come nel primo anno e mezzo di genocidio “nei tg asserviti a una narrazione tutta piegata su Israele. Su Israele e il suo diritto alla difesa” sono iniziate a penetrare le immagini bianche dei sudari palestinesi, a farsi strada nei nostri occhi distratti “uno schiaffo nel pieno del nostro sonno morale”. Non siamo stati noi a appropriarci dell’immagine di questi teli funerari, ma sono stati i fotografi, i giornalisti palestinesi, dapprima forse non intenzionalmente, poi con sempre maggiore determinazione, a consegnare queste sindoni al nostro immaginario e a farle diventare simbolo del genocidio. Se anche non fossero stati i fotografi a far penetrare nell’immaginario europeo i sudari, certamente il numero dei troppi morti si è imposto alle nostre coscienze sopite. Salme bianche, imbozzolate, in lunghe file nei cortili degli ospedali, delle scuole , in slarghi polverosi sulle strade, sudari bianchi, a volte rossi di sangue, ci hanno dato la dimensione dei bombardamenti, delle vittime palestinesi, della distruzione in una scala insopportabile. Quei lenzuoli, quei teli bianchi fanno parte della nostra stessa memoria, della nostra cultura e dell’antichissima cultura di Gaza. Sono uguali alle bende di lino da cui viene liberato Lazzaro e uguali alle bende di Gesù Cristo che vengono trovate a terra da chi accorre al sepolcro dopo la Resurrezione.

Sono le bende, ci ricorda l’autrice, da cui a fatica si libera il Cristo nel bassorilievo di Donatello nella Chiesa di San Lorenzo a Firenze; quei teli sono come la Sindone di Torino, venerata dalla Cristianità. Se i riti funebri sono all’origine della civiltà è ai riti funebri che i palestinesi affidano la loro civiltà aggredita. C’è una foto diventata virale nel mondo digitale e che viene chiamata La pietà di Gaza: è la fotografia di Saly, una bambina di cinque anni di Gaza, uccisa insieme a sua madre nei primi giorni dopo il 7 ottobre. La foto, premiata poi come scatto dell’anno 2024 da World Press Photo, è di Mohammed Salem, fotografo di punta della Reuters, uno dei tanti fotografi e giornalisti di Gaza che si sono sacrificati per lasciare una testimonianza. La salma bianca della bambina racchiusa nel sudario è tra le braccia della zia Inas, anch’essa coperta dal suo velo giallo e dalla tunica blu, piegata su di lei per un ultimo abbraccio. Poi la zia attenderà a casa che gli uomini compiano il rito funebre perché il funerale è un rito al maschile, anche se nei tempi incalzanti della guerra le donne stesse a volte devono portare alla sepoltura i figli. Saly è una degli almeno diciottomila bambini uccisi a Gaza, molti insieme alle loro famiglie rimarranno per sempre prigionieri delle macerie e non sarà possibile fare per loro un funerale e nemmeno farne una conta. Caridi racconta le modalità e il significato del rito funebre nella tradizione musulmana attraverso le parole di Nabil Bey Salameh, artista e musicologo palestinese, che spiega come la morte non sia una fine, ma un passaggio, in cui il corpo viene non lasciato, ma riconsegnato al Creatore. Ma le necessità della guerra, rendono tutto difficile.

Manca persino l’acqua a Gaza per il sacri lavacri dei corpi. A volte i riti sono del tutto impossibili, come succede per le vittime imprigionate nelle macerie. I sopravissuti via via non possono usare nemmeno i tradizionali kafan bianchi, presto scomparsi dal mercato dopo il 7 ottobre, sostituiti da sacchi di plastica bianchi, poi neri o coperte colorate di tessuto sintetico su cui non si riesce neanche a scrivere il nome. “A cosa, a quale tecnica di parola e scrittura e racconto viene affidato il commiato in un tempo di genocidio, quando neanche lo sguardo si può poggiare sulla persona amata, violata nel corpo?” si chiede la scrittrice e nel cercare una risposta si affida alle testimonianze di chi sopravvive alle persone amate. Tra questi cita lo scrittore e giornalista Omar Accad che in un suo racconto, La commissione sull’ombra, affida all’anonimo protagonista il compito di raccogliere e disseminare con la scrittura nei luoghi più disparati i nomi dei morti, come estrema forma di ricordo e di resistenza. E anche noi senza potere, noi che siamo ai margini, ci suggerisce Caridi, dobbiamo continuare a cercare di fare qualcosa, se non altro “ continuare a sussurrare. E sussurrando mostrare l’osceno, lo sterminio, l’insostenibile disumanità”. Per farci capire e sentire la disumanità di questa tragedia la scrittrice si affida più volte al simbolico, a immagini artistiche. Per noi che non possiamo andare a Gaza è importante pensare almeno a Gaza suggerisce e ci racconta che ci sono posti santuari in cui nel silenzio è possibile farlo. Cita in proposito il Cretto di Alberto Burri che riveste come un sudario le macerie, ricomposte dall’artista, di Gibellina, città distrutta nel 1968 dal terremoto del Belice. Anche le macerie di Gaza, come quelle di Gibellina raccontano, urlano l’orrore, l’ingiustizia, ascoltarle è l’imperativo della nostra specie.

Di fronte a disastri come la tragedia di Gaza a volte non basta la ragione, ma come ha detto anche Nadia Fusini per superare questo paradosso bisogna “entrare nel gioco dell’immaginazione, che procede per relazioni illogiche, per somiglianze infondate”, bisogna inoltrarsi “in un altro grado, o stadio di realtà, che ha molto a che fare per l’appunto con il sogno, fino con l’allucinazione, il delirio”. E’ un processo che ha sempre seguito l’arte, la quale utilizza l’immaginario per rendere intellegibili moti del mondo che altrimenti resterebbero incomprensibili. Così Cariddi si rivolge all’opera di più artisti, da Raffaello a Piero della Francesca, a David e soprattutto a Caravaggio, di cui analizza con sapienza il ciclo di S. Matteo nella Cappella Contarelli in S. Luigi de’ Francesi, per mostrarci i plurimi significati a cui rimandano i sudari e i numerosi legami di significato che rivelano a chi appartiene alle religioni del Libro. Caridi dedica inoltre un capitolo all’isola carcere di Ventotene durante il fascismo per farci comprendere la tragedia dell’isolamento concentrazionario di chi ha vissuto e vive a Gaza e la costrizione e la negazione dei corpi dei molti carcerati palestinesi e di tutto il mondo. Lo strumento che usa l’autrice per inoltrarsi in questi mondi è ancora la parola e sostiene anche che quando questa parola riesce a diventare sussurro e da sussurro si fa voce, fino a diventare discorso, allora riesce ad essere “lo strumento che può rompere i poteri, spaccare le pietre della forza bruta”.

Tale è stata l’esperienza di Caridi per cui a metà aprile è nato “Ultimo giorno di Gaza”, un gruppo di persone che ha deciso di prendere parola e di usare la parola “proibita” per definire la situazione di Gaza : genocidio. E’ stata affidata una lettera al web, ci si è rivolti a un’agorà virtuale ispirandosi all’esperienza delle primavere arabe. Da qui le azioni pacifiste per Gaza che hanno caratterizzato la primavera e l’estate di quest’anno e hanno ridato voce a tante persone comuni che hanno ritrovato il senso di vivere la “vita come politica”. Il lavoro di Paola Caridi è ricco di sapienza, ci induce alla meditazione, alla ricerca di pensiero, di voce e soprattutto di quella relazione che si fa sistema; un tutto che è qualcosa di più della somma dei singoli esseri umani, che insieme agiscono nella consapevolezza di appartenere alla Terra, di farne parte, ma di non possederla e di non dominarla.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21

Articolo21
Panoramica privacy

Questo sito Web utilizza i cookie in modo che possiamo fornirti la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie sono memorizzate nel tuo browser ed eseguono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito Web e aiutare il nostro team a capire quali sezioni del sito Web trovi più interessanti e utili.

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.