Il tema dell’informazione non dovrebbe interessare solo chi la fa, ma anche e soprattutto chi la riceve. Sommersi di propaganda, contenuti sponsorizzati, notizie vacue e fake news è un attimo trovarsi cittadine e cittadini a metà, incapaci di agire o anche solo di capire cosa succede. Il giornalismo può ancora fare la differenza, come “cane da guardia” contro gli abusi di potere, per informare e mobilitare, e per questo è sotto attacco come mai negli ultimi dieci anni.
Nel 2025, per la prima volta, l’indicatore della libertà di stampa di Reporter senza frontiere ha indicato uno stato di salute dell’informazione nel mondo sceso sotto un livello definito “difficile”. Le cifre raccolte da organismi e osservatori internazionali sono impietose: negli ultimi cinque anni sono stati uccisi almeno 2mila gli operatori dei media, anche a causa del terribile record segnato a Gaza. Sono stati almeno 35 i giornalisti spiati in Europa dal 2000, 20 quelli uccisi in Ucraina dal 2014, quasi 250 quelli perseguitati negli ultimi tre anni in Russia, con l’accusa di essere “agenti stranieri”. Intanto, l’8 agosto l’Italia, prima in Europa per “querele temerarie”, non ha recepito l’European media freedom act, che regola l’autonomia e il pluralismo dei media, mentre il servizio pubblico è vittima di crescenti pressioni politiche. Al tema dell’attacco all’informazione abbiamo dedicato la nuova inchiesta de lavialibera “Il giornalismo che resiste”.
Ormai è sperienza comune: nei circuiti mainstream è sempre più difficile trovare informazioni attendibili, tra governi che condizionano pesantemente l’agenda e proprietà concentrate in poche mani interessate. Ovviamente le eccezioni non mancano, ma restano isole in un mare dominato da interessi economici e politici. La mappa ricostruita dall’inchiesta individua gli interessi dei principali gruppi editoriali italiani: costruzioni, automobili, petrolio, cliniche private, aeroporti. La maggior parte con sede nel centro-nord, e un sud quasi completamente abbandonato a sé stesso.
L’ultimo esempio dei tanti condizionamenti cui è sottoposta la stampa italiana è andato in scena, platealmente, ad agosto, quando il Cipess (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) ha dato parere favorevole al progetto del Ponte sullo Stretto di Messina. Almeno otto tra i principali quotidiani italiani (Corriere della sera, La Repubblica, Il Messaggero, La Stampa, Il Giornale, Libero, Domani, il Sole 24 Ore) che hanno dato la notizia al proprio pubblico sciorinando i dati e considerazioni “tecniche”, hanno ospitato lo stesso giorno anche pubblicità a tutta pagina della WeBuild, società capofila del consorzio Eurolink che costruirà l’opera. Altre inserzioni sono comparse su alcune testate nei giorni successivi e non si è sottratto alla sponsorizzazione neppure GeoPop, uno dei tanti nuovi media digitali che raccolgono milioni di follower su Instagram, che con WeBuild ha diffuso un post sulle caratteristiche avveniristiche dell’opera.
Lo ha scritto anche il progetto Monitoring media pluralism (Mmp) nel suo ultimo report: i rischi più elevati e diffusi nei paesi dell’Ue, per l’indipendenza dei media, sono quelli che derivano dalle ingerenze dei soggetti del mercato privato, che trattano i giornali come veicolo di contenuti pubblicitari, non sempre espliciti, creando confusione tra comunicazione e informazione e impedendo l’uscita di notizie che vadano contro i loro affari. Meccanismo cui non si sottraggono neppure nuovi progetti che hanno un enorme seguito sui social, come Will, Torcha, Factanza, Freeda e Welcome To Favelas, che sembravano aver trovato la chiave per una nuova informazione “giovane” e invece vivono quasi esclusivamente di contenuti brandizzati e servizi per le aziende.
I governi non sono da meno nel minacciare l’informazione, specie se sono di fede sovranista. “Avere i nostri media” è la ricetta proposta nel 2023 da Viktor Orbàn alle destre radicali. In pochi anni il leader ungherese è riuscito a stravolgere la libertà d’informazione nel suo Paese utilizzando manovre politiche ed economiche, senza violenza: l’emittenza pubblica è stata trasformata in una macchina propagandistica, i media privati acquistati da oligarchi vicini al suo partito Fidesz e quelli indipendenti esclusi da aiuti o inserzioni pubblicitarie. Molti conservatori stanno seguendo il suo modello. Dagli Usa di Trump all’Italia di Meloni, con stili e declinazioni diverse, il controllo della libertà di stampa prende la forma dell’accerchiamento: da una parte la conquista del servizio pubblico e dei quotidiani principali, dall’altra l’attacco diretto contro le voci dissenzienti.
L’erosione dell’indipendenza dei media passa poi anche attraverso le minacce dirette ai giornalisti che, divisi tra una stretta élite di garantiti e una massa di sottopagati e precari, in entrambi i casi sempre più spesso abdicano al loro ruolo. La pessima prova dei principali media italiani su Gaza ne è stata l’ultima incontrovertibile conferma.
In uno scenario di intimidazioni e compromessi, questa è la conclusione cui giunge l’inchiesta: l’informazione indipendente resiste soprattutto fuori dai media tradizionali, in decine di piccole redazioni capaci di innovare e creare un nuovo rapporto con il pubblico. Piccole redazioni e collettivi che non rispondono né ai diktat di proprietari troppo ingombranti né alla sola volontà dei mercati. Luoghi in cui sopravvivono il desiderio di verità e di pensiero critico, a volte anche in modo eroico, come negli scenari di guerra o nelle condizioni di esilio forzato. Realtà come il giornale indipendente israelo-palestinese +972 Magazine, il Kyiv Independent in Ucraina, il media indipendenti ungherese Lakmusz, la testata russa (in esilio) Novaya Gazeta Europe, che hanno meno forza e impatto sull’opinione pubblica rispetto ai grandi media mainstream, ma svolgono una funzione cruciale di racconto della realtà.
Allora sta anche al pubblico, a cittadine e cittadini, fare la propria parte. Come scrive Luigi Ciotti nel suo editoriale al numero de lavialibera: “Ecco il tema: ci lamentiamo giustamente delle pecche dell’informazione e degli effetti che può avere nella società attuale. Ma siamo capaci invece di riconoscere le iniziative editoriali di valore, proteggerle e promuoverle? Siamo disposti a pagare il giusto prezzo per chi si ribella alla superficialità, all’ovvietà, alla transitorietà delle notizie, e continua a voler produrre un’informazione documentata, al servizio della verità?”.
Pensando a questo mondo di giornalisti “che resistono” e all’amore per questa professione, a quarant’anni dalla sua uccisione, abbiamo dedicato la pubblicazione a Giancarlo Siani, giovane cronista campano ucciso quarant’anni fa dalla camorra.
Giancarlo era uno di noi. Precario, appassionato, innamorato della vita e incapace di restare a guardare. La sua storia è unica e irripetibile, eppure legata a quella di tante e tanti colleghi che, ogni anno nel mondo, sono uccisi mentre tentano di raccontare un altro pezzo di storia. Non ci limiteremo alla memoria: con Libera e Fondazione Siani dal 24 settembre 2025 faremo rivivere la sua storia – e la sua macchina da scrivere – in un viaggio che attraverserà l’Italia, dalla Campania al Piemonte, per discutere con le comunità locali di giornalismo e diritto a essere informati. A lavialibera pensiamo che oggi, come ai tempi di Giancarlo, il giornalismo serva e vada difeso. Sia da chi l’attacca perché vuole agire indisturbato, sia da chi ne consuma la credibilità dall’interno per incuria e compromesso.
*Elena Ciccarello è la direttrice de lavialibera
Nella foto la copertina del numero dedicato all’informazione
