L’ex presidente brasiliano di estrema destra Jair Bolsonaro ha progettato un golpe per sovvertire lo stato democratico di diritto, guidando una organizzazione criminale armata. Il piano prevedeva gli omicidi del presidente Lula (liberamente eletto), del vicepresidente e di un giudice della corte suprema da parte delle forze speciali dell’esercito il 1° gennaio 2023, prima dell’insediamento di Lula. Per questo la corte suprema ieri ha condannato Bolsonaro a 27 anni di prigione, processando anche 7 suoi stretti collaboratori.
In suo soccorso si è precipitato il presidente statunitense Donald Trump, che oltre a proteggere il suo “compagno di merende”, resta interessato ai vantaggi economici di questa scandalosa convergenza politico-ideologica. I due condividono falliti tentativi di colpi di stato, anche se Trump non ha mai dovuto assumersi responsabilità per l’assalto al congresso del 2021. Il presidente statunitense non ha esitato a fare pressioni prima della sentenza sul governo brasiliano parlando di “caccia alle streghe” contro il suo alleato Bolsonaro, imponendo al paese dazi doganali stellari al 50%. Mentre Marco Rubio, segretario di stato, ha tuonato minaccioso che gli Stati Uniti risponderanno alla “condanna ingiusta” di Bolsonaro.
La destra in ascesa in tutto il mondo offre quotidianamente generosi esempi di inversione del principio di realtà e di riscrittura sistematica dei fatti attraverso ribaltamenti della evidenza, ricorrendo a lapalissiane fake news e ad un linguaggio violento in barba a tutti principi di basilare rispetto nei confronti di elettori e avversari politici additati come pericolosi nemici. Accade con le bugie sulla situazione a Gaza diffuse dal governo di Netanyahu e succede in queste ore successive all’omicidio dell’influencer Charlie Kirk ad Orem nello Utah. Charlie Kirk usava le parole come pallottole, linguaggio violentissimo e idee chiare sulla necessità per tutti gli americani di armarsi liberamente fino ai denti. Il suo assassinio è stato condannato da tutti gli schieramenti perché la violenza non è una scorciatoia; purtroppo, la storia degli Stati Uniti è costellata da assassinii politici e brutalità, di cui ha fatto le spese lo stesso Trump sfuggito a due attentati. Questo ultimo episodio mina ulteriormente la fragile democrazia Usa dando l’occasione al presidente ed ai conservatori di scagliarsi contro i democratici, ormai equiparati alla sinistra radicale ritenuta mandante degli omicidi. Una narrazione alimentata da Trump che in un discorso alla nazione dallo Studio Ovale non ha perso l’occasione per sfruttare il delitto a proprio favore: ha elencato gli atti di violenza attribuiti alla sinistra omettendo quelli contro i democratici. Ha definiti Kirk un patriota degno di una delle più alte onorificenze civili. Se ascoltiamo i podcast ed i discorsi tenuti da Kirk nelle università (gli studenti erano il suo uditorio preferito), emergono parole e concetti di inaudita violenza, di inviti ai cittadini a sparare. Charlie Kirk non è un martire che ha immolato la sua vita sull’altare del diritto alla libertà di espressione e di pensiero. Le parole non sono pietre e neanche proiettili. Politici e giornalisti devono essere consapevoli che l’uso distorto del linguaggio (figlio del sonno della ragione che genera mostri) può ripercuotersi contro sé stessi come un mortale boomerang.
