Giornalismo sotto attacco in Italia

“Stranizza d’Amuri”, di Giuseppe Fiorello, Ita, 2023

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Con Samuele Segreto, Gabriele Pizzurro, Simona Malato, Fabrizia Sacchi, Anita Pomario, Giuseppe Spata

Stranizza d’Amuri” è un film che racconta la storia di due ragazzi che si amano, un ritratto, vivido e doloroso, di un’Italia che esisteva (ed esiste ancora oggi, purtroppo, in certi angoli più o meno nascosti, fisici e mentali), dove l’amore tra due uomini era considerato un affronto, una vergogna da nascondere o, peggio, da punire. Giuseppe Fiorello, al suo esordio da regista, firma un’opera che non ha nulla di patinato o scontato. È un’opera cruda, asciutta e insieme piena di bellezza. Ambientata nella Sicilia del 1982, negli Iblei, tra la costa luminosa e gli interni aspri ma concilianti, essa disegna un contrasto potente tra la luce dei luoghi e il buio dei sentimenti che li abitano. Perché è proprio lì, in quel paesaggio mozzafiato, che si consuma la tragedia. La bellezza della natura non riesce a redimere la brutalità degli uomini. Gianni, uno dei due protagonisti, è un ragazzo sensibile, taciturno, che si porta dietro un dolore profondo. Lo vedi nei suoi occhi che qualcosa non va. Non solo a causa della sua “diversità”, ma anche perché vive in una casa dove la madre subisce, silenziosamente, ogni giorno, la prepotenza di un uomo che non ama, che la domina.

La dimensione del patriarcato qui è netta, senza sconti. L’uomo comanda, la donna subisce, il figlio si adegua o sparisce. E se non lo fa, allora è un problema. E i problemi, si sa, vanno eliminati. Nino, l’amico che Gianni incontra e ama, entra nella sua vita con spontanea leggerezza. All’inizio è amicizia, poi qualcosa di più, e infine amore. Ricambiato, tenero, commovente. Ma in quel tempo, e in quella Sicilia, l’amore tra due uomini non è ammesso, non è nemmeno immaginabile. È considerato una minaccia all’ordine costituito, all’onore, alla famiglia, alle “fragili” certezze interiori di ognuno. E infatti i due ragazzi non possono vivere la loro storia, sono braccati, derisi, picchiati, infine, definitivamente, spezzati. La tragedia arriva, come una condanna scritta fin dall’inizio. Il film si ispira alla vicenda reale dell’omicidio di due giovani omosessuali, a Giarre, in provincia di Catania, nel 1980. Si amavano, ed è bastato questo per ucciderli. Ma “Stranizza d’Amuri” non è solo il racconto di una vittima e del suo amore negato. È anche il ritratto di un ambiente sociale marcio, arretrato, impastato di ignoranza e violenza. Il bullismo, le risate cattive, le mani sempre in azione, il bisogno di mostrarsi “uomini veri”, in un contesto dove la mascolinità tossica è legge non scritta ma feroce, la fanno da padrone assoluto. Fiorello non calca mai la mano, ma tutto è lì, in ogni sguardo, in ogni frase sussurrata alle spalle, nei pugni che arrivano come conseguenza logica in un mondo senza ragione né sentimento. Nino, l’altro ragazzo, apparentemente più fortunato, ha alle spalle una famiglia “normale”. Ma nemmeno questo lo salva, anche lui finirà vittima di quella cultura chiusa e repressiva che lo vuole eterosessuale, marito, padre, “maschio”. Il regista è bravissimo a far vedere il cambiamento. La dolcezza iniziale di Nino, la sua apertura, vengono lentamente piegate dalla realtà che lo circonda. La consapevolezza del proprio desiderio, dell’amore per Gianni, cede sotto il peso delle aspettative, dei codici sociali non scritti ma rigidissimi.

Il tentativo di farlo diventare un altro, freddo, distaccato, è forse la parte più dolorosa del film, perché mostra come si possa arrivare a volere spegnere un’anima per farla aderire ad un modello inaccettabile ma obbligato. E a poco serve, ad ambedue i protagonisti, il forte rapporto affettivo con le rispettive madri, chiuse nella dolorosa consapevolezza del destino cui i figli stanno andando incontro, e che, paradossalmente, saranno proprio loro a guidare verso la tragedia finale, nel tentativo estremo di volerli “salvare”. Una contraddizione che rafforza la drammaticità della vicenda e che indica l’impossibilità di uscire da soli da una logica perversa, che solo profonde lotte sociali hanno potuto abbattere, o quanto meno contenere, nel corso di questi ultimi anni. La stupenda fotografia di Ramiro Civita, straordinaria nel sottolineare con i colori gli stati d’animo cangianti dei due protagonisti, illumina gli spazi aperti, i cieli enormi, il mare sconfinato e silente, come volesse offrire una via d’uscita, che non ci sarà, ad una triste e assurda vicenda. Fiorello ci racconta una trappola perfetta. La Sicilia è bella, ma chi ci vive dentro spesso non può respirare. E la violenza non è solo fisica. È nei silenzi, negli sguardi abbassati, nella parola negata. È in quella cultura maschilista e patriarcale che soffoca tutto ciò che non si conforma. Il regista siciliano evita i luoghi comuni.

Non cerca la lacrima facile, non idealizza i personaggi. La messa in scena è lucida, mai artificiosa, spesso poetica (vedi la stupenda sequenza di sospesa felicità per Gianni e sua madre, che ballano in cucina, come in una parafrasi di “Mamma Roma” di Pasolini, sulle note de “Il mio mondo” di Umberto Bindi, con Nino che idealmente partecipa, sorridente, in montaggio alternato, per strada sul suo motorino). Merito anche dei due giovani attori protagonisti, Samuele Segreto (Gianni) e Gabriele Pizzurro (Nino), spontanei, intensi, mai sopra le righe. Riescono a rendere vero un sentimento che non ha avuto il tempo di diventare adulto, e che proprio per questo ci colpisce con una forza straordinaria. In definitiva, “Stranizza d’Amuri” non è solo un film su una storia d’amore spezzata. È un’opera civile, necessaria. Ci ricorda, con dolore, ma anche con tenerezza, quanto sia stato (e a volte sia ancora) difficile essere se stessi in un Paese che troppo a lungo ha considerato “diverso” sinonimo di “sbagliato”. È un richiamo a non abbassare la guardia, a non dimenticare mai quante vite sono state schiacciate dalla cultura dell’odio e della paura. Un film che lascia il segno. E che merita di essere visto e discusso.


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