Cinque anni senza Sergio Zavoli (scomparso a 96 anni il 4 agosto 2020) e la sua idea dell’informazione, intesa, come ha ricordato di recente Vincenzo Vita, come una forma d’arte. Giornalista, scrittore, poeta, inventore di format televisivi straordinari come il “Processo alla tappa” e protagonista della stagione migliore della RAI, intesa come autentico servizio pubblico, nel corso di un’esperienza umana e professionale unica nel suo genere ha firmato gioielli come “Nascita di una dittatura” e “La notte della Repubblica”: un racconto del Paese e dei suoi drammi, dal fascismo al terrorismo rosso e nero durante gli Anni di Piombo, compiuto con rara maestria. Una potenza narrativa senza eguali, i primi e gli ultimi posti sullo stesso piano, il rispetto per eroi come Merckx e gregari come Taccone o Zandegù, l’attenzione rivolta anche a personalità controverse della nostra storia, la narrazione fuori campo, con la sua voce inconfondibile, e la telecamera sempre puntata sull’intervistato, senza manie di protagonismo e senza la presunzione contemporanea di porsi davanti alla notizia, fin quasi ad annullarla: questa è stata la cifra stilistica ed esistenziale di un uomo classe 1923 che ha conosciuto da vicino i diluvi del Novecento e speso l’intera vita a difendere la democrazia e I suoi valori. Senza dimenticare il suo memorabile incontro con Franco Basaglia in quel di Gorizia: è anche grazie a “I giardini di Abele” se fu possibile varare la legge che abolì i manicomi.
La RAI come motore del cambiamento, dunque, al servizio del pubblico e non del potente di turno, ispirandosi a quei principî costituzionali di cui oggi s’è smarrito il seme.
Di idee socialiste, “Socialista di Dio” per sua stessa ammissione, lo Zavoli più autentico era quello che si immergeva nei ricordi dell’infanzia insieme agli amici di una vita: da Enzo Biagi a Federico Fellini, senza dimenticare Tonino Guerra e il più giovane Renato Parascandolo, compagno d’avventure, in RAI e non solo, per mezzo secolo, in un amarcord esistenziale dai contorni poetici che ha rappresentato la colonna sonora della sua esistenza, soprattutto in vecchiaia. E poi l’impegno politico, costante e intenso, svolto con la stessa passione civile che aveva caratterizzato la sua storia giornalistica, anche in ruoli di primissimo piano (dalla presidenza della RAI alla direzione del Mattino), al punto che nel 2008, dopo una vicenda dai tratti assai poco commendevoli, venne eletto presidente della Commissione di Vigilanza RAI, restituendole prestigio e autorevolezza. Il suo ultimo incarico è stato la presidenza della Biblioteca del Senato, facendone il fulcro un dibattito pubblico e istituzionale già allora inaridito ma per fortuna ravvivato dalle sue iniziative.
Sosteneva che la poesia fosse il modo più alto di pensare, e allora lo ricordiamo con alcuni dei suoi versi più significativi, tratti dalla raccolta “Il tempo di scordare”: “Vienimi incontro, mi dicevo, / rivolgendomi al giorno del congedo; / non sembri un rito ai libri / come greggi alle pareti, / quando immaginavo / di poterne disporre al modo loro, / pronti ad aprirsi dove su “quella pagina”, / ci siamo salutati”.
Un abbraccio colmo di gratitudine.
