Giornalismo sotto attacco in Italia

Pier Paolo Pasolini e l’ostilità di un Parlamento

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L’agile ma completo libro curato dal bravo e infaticabile cronista parlamentare di Radio radicale Lanfranco Palazzolo (Il Parlamento contro Pasolini. Ostilità in forma di prosa verso PPP 1959-1976, Nuova Palomar, pp. 164, euro 18,50) fa venire alla luce una poco conosciuta parte del dibattito pubblico attorno a Pier Paolo Pasolini. Il grandissimo intellettuale mai domo e lontano dal pensiero unico o dalle omologazioni ha suscitato dialettiche oppositive in vita e – solo dopo la morte, come quasi sempre succede – apprezzamenti vasti. Ma una personalità straordinaria che ci lasciò così prematuramente ci ha regalato veri e propri gioielli nella letteratura, nella poesia, nel cinema, qualche volta nella televisione (benché la bellissima puntata della serie del 1967 Primo Piano girata da Carlo Di Carlo e Alessandra Bocchetti non sia mai andata in onda sulla Rai) e celebrati editoriali sul Corriere della Sera. Tuttavia, è mancata l’attenzione pur doverosa agli interventi parlamentari che hanno riguardato negli anni Pasolini.

SE SI SCORRONO le intense pagine assemblate con perizia da Palazzolo si schiude un mondo inquietante, che segnala una miscela di ignoranza e – con pochissime eccezioni – di rigurgiti reazionari. Gli strali, dettati da moralismi surreali contro testi ricchi di umanità e di prefigurante descrizione dei lati oscuri degli esseri umani (il fascismo quotidiano, ne osserviamo oggi l’epifania), hanno un che di patetico. Il grosso delle critiche arriva dal Movimento sociale italiano, tra cui spiccano quelle di Giorgio Almirante, il quale il 18 gennaio del 1962 accusa alla Camera la Democrazia cristiana di subire la cultura di sinistra di cui Pasolini sarebbe stato uno degli ispiratori. Curioso, in verità, l’attacco alla Dc, perché proprio dal partito a lungo centrale della vita politica italiana arrivarono veleni non da poco, da Giuseppe Costamagna al ministro della cultura dal 1974 al 1976 Adolfo Sarti. E da quel dicastero si sprigionarono censure e offensive, persino contro un capolavoro come Il Vangelo secondo Matteo, evocante una fede spogliata dalle liturgie e dagli orpelli temporali. Pensiamo se l’avesse visto Papa Francesco e non gli ottusi censori dell’epoca. Salò e le 120 giornate di Sodoma raggiunse il record delle critiche, probabilmente per la forza espressiva di una diagnosi degli orrori del potere, del resto argomento amaramente attuale.

Caratterizzati da toni grevi si segnalano, poi, gli interventi di missini d’antan come Nino Tripodi o Giulio Caradonna, o Michele Cassano o Guido Lo Porto, per citarne alcuni. Gli argomenti sono come fotocopiati: scritti e immaginari di PPP disturbano l’approccio di una destra insieme nostalgica e desiderosa di mordere chi non si allinea e neppure è tutelato dalle consuete culture delle sinistre. Tuttavia, il volume di Palazzolo ha un proprio il merito di sottolineare discorsi assai sensibili alle qualità di Pasolini tenuti da dirigenti del Partito comunista italiano come Giorgio Amendola, Mario Alicata, Antonio Caruso, Davide Lajolo, Luigi Berlinguer. E non solo.

IL VOLUME scrive di una lettera mai inviata di Pasolini a Mario Alicata, densa di malinconica polemica per il clima di opinione cui contribuì il Pci nei riguardi di Deserto rosso di Michelangelo Antonioni vincitore del Leone d’oro a Venezia nel 1964 in luogo del Vangelo. La lettera non fu spedita, probabilmente per un ripensamento di una persona completamente estranea a privilegi o favoritismi. Era comunista, interessato da Palmiro Togliatti (che ispirò le parole lusinghiere per Una vita violenta attraverso Edoardo D’Onofrio, correggendo le critiche di Mario Montagnana). Scrisse anche una intensa poesia su Pietro Nenni.

Era approdato al Pci, iscrivendosi e in seguito essendone emarginato perché omosessuale (allora non un’eccezione), dopo aver riconosciuto un passato fascista presto abbandonato. Il Pci lo riabilitò completamente, quando il responsabile culturale del partito Aldo Tortorella (investito di tale compito all’indomani della tragedia dell’Idroscalo) decise che i funerali si sarebbero tenuti in un luogo ufficiale, la Casa della cultura di Roma, con orazione funebre di Alberto Moravia.

(da Il Manifesto)


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