L’impunità alla quale i coloni israeliani sono abituati si manifesta in tutta la sua brutalità ed arroganza nell’episodio raccontato da Lucia Goracci, inviata della Rai in Cisgiordania. Minacciata, insieme all’operatore Ivo Bonato, costretta ad effettuare il collegamento in diretta con il Tg3 con un clacson che strombazzava in sottofondo nel tentativo, vano per fortuna, di coprire la sua voce che raccontava. Perché è il racconto che i coloni spalleggiati dall’esercito israeliano temono, il racconto che squarci l’oscurità e illumini gli abusi, le violenze, l’apartheid di cui la popolazione palestinese è vittima. Non ci devono essere occhi e telecamere perché è nel buio che si consumano i misfatti, che si opprime un popolo, che si occupano terre illegalmente cacciando chi le abita.
La “colpa” di Lucia Goracci è stata di essere andata a Umn al Kheir, il villaggio di Awdah Athaleen, l’attivista palestinese per i diritti umani assassinato a sangue freddo dal colono Ynon Levi. Ennesimo episodio di violenza coperto da Israele. Ynon Levi, l’assassino, è libero mentre la famiglia Athaleen non ha potuto nemmeno avere indietro il corpo del ragazzo che aveva tra l’altro collaborato alla realizzazione del film Premio Oscar “No Other Land”. Non ha diritto alle lacrime dei suoi cari né a una sepoltura. Intanto Levi, filmato mentre uccide, può sorridere a chi lo fotografa.
Di ritorno dal villaggio Lucia è stata affrontata da un colono con pistola nella fondina. È stata fotografata insieme al suo operatore, Ivo Bonato, accusata di essere stata nel villaggio, cioè di aver fatto il suo lavoro. E disturbata durante la diretta.
Intanto l’esercito israeliano ha dichiarato il villaggio zona militarizzata. È lo stratagemma utilizzato dall’IDF per chiudere ed impedire ai giornalisti di entrare, riprendere, fotografare.
Israele è nemico dei giornalisti. Ne ha uccisi quasi 300 a Gaza, tutti palestinesi, ed impedisce agli altri di entrare. Perché gli abusi di una potenza militare colonialista non devono avere testimoni. Si deve uccidere con le bombe, con la fame, con le pistole dei coloni senza che nessuna veda per poter poi dire, a chi denuncia, che sono bugiardi. È quello che si è sentita gridare dietro Lucia Goracci: “liar”, bugiarda.
L’ episodio testimonia una volta di più quanto sia importante il ruolo dei giornalisti dove si muore, dove gli eserciti sparano. I giornalisti raccontano e ci informano. E testimoniano gli abusi, i crimini contro l’umanità che senza chi li racconta rimarrebbero nell’oscurità.
Solidarietà a Lucia Goracci. La nostra è scontata. Vorrei sentirla anche dal nostro governo, dai nostri parlamentari, da chi dovrebbe sapere che senza giornalisti liberi la democrazia è a rischio.
