Di fronte al raid odierno dell’ospedale Nasser di Khan Younis, costato la vita ad almeno venti palestinesi, tra cui cinque operatori dell’informazione, anche chi finora non aveva voluto vedere o aveva trovato le scuse più improbabili per giustificare il genocidio portato avanti dall’esercito israeliano è costretto ad aprire gli occhi, pena il coprirsi di ridicolo.
Preciso, parlando a titolo personale, di non essere d’accordo con alcuna forma di boicottaggio, compresa quella invocata da personalità straordinarie del mondo del cinema e della cultura all’indirizzo di Gal Gadot e Gerard Butler, che purtroppo hanno scelto di non essere presenti alla Mostra del cinema di Venezia. Censurare l’arte e gli artisti, siano essi russi, israeliani o di qualunque altra nazionalità, infatti, mi è sempre sembrata una pessima idea, contro la quale mi sono battuto senza alcuna distinzione. Prendere posizione in maniera chiara e inequivocabile, invece, è ormai un dovere morale: siamo, difatti, al cospetto di una soluzione finale, con la concreta prospettiva che Gaza, a breve, non esista piu, non abbia un domani e sia annientata dalla fame, dalle malattie e da una politica di sterminio di cui importanti esponenti del governo Netanyahu menano addirittura vanto.
E allora scrivere, gridare e prendere posizione non è più sufficiente: noi non possiamo fare altro, ma gli stati, dannazione!, hanno il dovere di imporre sanzioni, interrompere ogni rapporto con Israele e attuare politiche durissime nei confronti di un esecutivo che sta distruggendo ciò che resta del diritto internazionale e mettendo a repentaglio la credibilità stessa delle istituzioni occidentali. Un’Europa che vara da anni pacchetti di sanzioni contro la Russia ma non riesce ad andare oltre il pigolio nei confronti di Israele, infatti, non ha un avvenire. E un’America in cui il Presidente attacca frontalmente i giornalisti e le emittenti sgradite, compiendo virtualmente ciò che Netanyahu compie materialmente, è ormai l’ombra di se stessa.
In tanta malora, prospera il senso di impotenza da parte dell’opinione pubblica, in particolare delle persone più sensibili, il che acuisce le tensioni e rende la politica sempre più impopolare, invisa e, di conseguenza, fragile. Fino a qualche tempo fa avremmo sostenuto che la democrazia stesse entrando in crisi; ora cominciamo a temere che la democrazia sia in una crisi irreversibile e non riusciamo in alcun modo a essere ottimisti per quanto riguarda il futuro.
