Giornalismo sotto attacco in Italia

Il peso di una pagina di storia: “tutti questi morti, per cosa sono morti?” 

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Ucraina – Siamo tornati in Ucraina a distanza di un anno dall’ultimo viaggio con Operazione Colomba, nella regione dì Mykolaiv. Qui la presenza dei volontari/e italiani della Colomba non si è mai interrotta dal 2022, e noi contribuiamo con esperienze di breve periodo per dare continuità, rivedere le persone conosciute in questi anni, per farle sentire meno sole e aiutare concretamente nei lavori quotidiani.

È la quarta estate dall’invasione russa dell’Ucraina: la guerra prosegue senza le speranze e gli entusiasmi di resistenza dei primi tempi.

La prima sensazione a Mykolaiv è di apparente normalizzazione: la vita va avanti, le sirene sembrano suonare meno di un tempo, mentre a pochi chilometri la guerra imperversa e i quotidiani di tutto il mondo commentano le dichiarazioni e le posizioni dei principali leader politici coinvolti nel conflitto, in vista dell’incontro del 15 agosto in Alaska.

Sono le testimonianze delle persone che ci aiutano a capire e interpretare meglio cosa sta succedendo, in questa settimana (forse?) cruciale.

C’è “la Storia”, quella che rimarrà sui libri di scuola (chissà in che versione poi!) con alcune date e nomi significativi, una stima approssimativa delle vittime e qualche foto di repertorio. Un paio di paragrafi per l’invasione dell’Ucraina, una pagina forse per il genocidio palestinese? Un capitolo? Qualche informazione sterile, e poi pronti a voltare pagina, come se fosse così semplice. Ma sono le “storie” delle milioni di persone coinvolte in questa come in altre situazioni, senza averlo scelto, a darci un’idea di quanto pesi questa pagina da girare. Sono queste storie a offrire una rappresentazione più onesta del disastro e dell’orrore che è la guerra, e del perché in ogni modo e con ogni energia andrebbero tutte prevenute ed evitate.

Nei primi giorni a Mykolaiv abbiamo condiviso molto tempo con Maksym Kovalenko, consigliere comunale della città. Lui guida l’associazione Youth of Ukraine e instancabilmente lavora con una squadra di una trentina di collaboratori per prendersi cura dei giovani e delle persone più fragili. Al momento è molto difficile trovare specialisti, perché chi ha potuto è scappato, gli uomini sono arruolati o arruolabili e ci sono soprattutto donne, che però devono occuparsi anche del peso del lavoro domestico e dei figli. Lui stesso è a rischio, come molti suoi amici e colleghi, e deve muoversi con prudenza in città per non esser precettato. Si occupano della costruzione di dissalatori per garantire l’acqua potabile nelle periferie e nelle cittadine più in difficoltà, della ricerca e della gestione di aiuti umanitari, di esperienze educative per i giovani come campi estivi, sostegno allo studio, sportelli psicologici, corsi,.. tra i servizi più richiesti ci sono i percorsi di supporto alla parola per bambini tra i 6 e gli 8 anni: il ricordo della paura dei giorni dei bombardamenti inibisce ancora il parlare, e questo fenomeno non è stato ridimensionato dal passare del tempo.

Nonostante tutto Maksym porta avanti con zelo e costanza il suo impegno per la pace  lavorando sulla solidarietà e il senso di comunità.

Dice:“tutte le persone hanno subito morti tra i familiari e gli amici, e i numeri sono sicuramente più alti di quelli ufficiali: lo stato non li riconosce, preferisce registrare le persone come disperse o fuggite, per via dei risarcimenti che dovrebbe pagare altrimenti. Intanto i prezzi salgono, scarseggiano le materie prime e c’è poco lavoro e pochi lavoratori.” Maksym ha una figlia di un anno e mezzo, Kyra, e si chiede che futuro potrà avere  nello scenario che si prospetta “Spero che la pace arrivi il prima possibile, una pace giusta, ma sono preoccupato anche da quello che succederà dopo: il rischio è di scomparire dai radar internazionali, di essere lasciati soli, con una popolazione sempre più vecchia, perchè una volta riaperti i confini, molti di quelli che non lo hanno già fatto se ne andranno. Bisognerà gestire la ricostruzione e il rientro di tutti i reduci dal fronte, e le conseguenze psicologiche collettive. Noi continuiamo a fare il possibile con passione e determinazione ma ci aspettano tempi bui.” È un grande conoscitore di storia e politica ucraina ma risponde così all domanda sull’incontro tra Trump e Putin. “Cosa ne penso? A questo punto mi sto chiedendo, e non solo io, tutti questi morti per cosa sono morti, tutto qui.” Nonostante tutto questo, la sua presenza e quella del suo team trasmettono un’inesauribile passione e determinazione per il loro lavoro sul presente, che risponde al bisogno di migliaia di persone, ed è un esempio di tenacia non indifferente.

Un altro straordinario esempio di resistenza pacifica attraverso l’educazione e la solidarietà è quello della House of Youth (HOfY) di Kazanka.

Siamo partiti per andare a incontrare le ragazze di questa giovane realtà in un paesino un po’ a nord, che conta circa 6000 abitanti.

L’HOfY Club è gestito da un gruppo di adolescenti che tengono aperto un centro educativo per bambini/e e ragazzi/e del territorio. Durante le vacanze organizzano campi estivi a cui partecipano oltre 150 bambini e bambine da tutta l’area. Giocano insieme, partecipano a laboratori, condividono i pasti e hanno occasione di passare il tempo insieme.

Anastasiia, “Nastiia”, è una delle leader e a dicembre è venuta con altri venti ragazzi e ragazze a Torino grazie a un progetto europeo.

Lei studia all’università di Kiev, ma passa tutta l’estate a Kazanka per gestire i campi e tenere aperta la sede. Ci ha mostrato altri luoghi che gestiscono e stanno provando a sistemare: un’area giochi e uno spazio aperto abbandonato da dieci anni che ora hanno in gestione. Immaginano un luogo in cui organizzare concerti e attività aggregative anche per le ragazze più grandi.

Colpisce veramente la loro giovane età e la facilità con cui scelgono di prendersi la responsabilità educativa nei confronti della loro comunità. Nonostante lo studio o il lavoro li stia portando altrove, almeno chi può andare altrove, c’è un entusiasmo travolgente che li tiene legati alla loro piccola città.

Prima di rientrare a Mykolaiv passiamo per Kryvyj Rih, città natale di Zelensky. Un’altra immersione in un libro di storia: si mischiano architettura sovietica e Mc Donald’s, i resti di un hotel sventrato da un missile a marzo, e poi tanti spazi verdi e un’area gioco per bambini su cui svetta altissima una gigantesca bandiera ucraina. Proprio a fianco un memoriale improvvisato dei giovani militari morti in guerra, con foto, fiori e bandierine, e poi una  esposizione di carri armati russi, abbattuti durante il periodo più acceso del conflitto a inizio 2022. Ovunque si ripetono le frasi “combatti, vincerai”, “a eterna memoria” e “gli eroi non muoiono mai”. Eppure gli eroi sono morti davvero, e l’unica memoria e l’unica vittoria che chiedono quelle foto forse è non farne morire altri ingiustamente e senza motivo.

Ora siamo a Kherson, una delle città e delle regioni contese, che sono oggetto del dibattito sull’accordo. Ancora oggi la popolazione rimasta sulla riva occidentale del Dnepr fa da cuscinetto tra i tentativi di avanzata russa e l’opposizione ucraina.

Sergej, 21 anni, con sua moglie Bogdana in attesa di due gemelli, ci dice: “Sono stanco dei giochi dei presidenti, è un gioco a cui non voglio giocare, non ho scelto io di giocare. Loro fanno le cose pensando ai propri interessi e non a quelli delle persone, per muovere il business della guerra, ma non sanno che i soldi non rendono liberi, li rendono schiavi.” Anche lui è preoccupato per il futuro: “Devo scegliere se lavorare o morire, se pagare i debiti che ho o morire. La mia vita è in pausa dal 2022, ancora non so se il mio futuro sarà russo o ucraino, non so nemmeno se quando nasceranno i miei figli saremo ancora in guerra.” Intanto suona la batteria, smonta e rimonta macchine e moto per hobby e fa il volontario per la chiesa locale che ci ospita e a cui consegniamo gli aiuti umanitari da distribuire, da quando il pastore Sasha è stato arruolato contro la sua volontà. È un obiettore di coscienza, ma come tanti altri in Ucraina rischia la prigione se rifiuta l’addestramento. Sergej aggiunge “Una volta c’erano i re e gli schiavi, oggi abbiamo la democrazia e lo stato, l’umanità dovrebbe progredire, abbandonare la guerra, e invece stiamo tornando indietro, è stupido”. E ancora: “la guerra ci ha resi tutti più aggressivi. Prima ero uno tranquillo, avevo imparato che la parola funziona più della violenza, e al massimo lasciavo perdere. Oggi posso senza problemi picchiare qualcuno se crea problemi, penso che potrei anche uccidere. Questo non va bene. Vorrei tornare indietro nel tempo, ma visto che non si può, spero di dimenticare tutto questo il prima possibile. Non voglio diventare come i reduci della seconda guerra mondiale, che ancora piangono il passato. Voglio solo sapere che la mia vita ha un senso, che quel che faccio non sarà distrutto domani”. Quasi al buio in cucina, e con le tapparelle abbassate per non mostrare all’esercito nemico la presenza di vita, Sergej parla senza sosta, e tutti siamo incollati alle sue labbra, come succede quando la verità si mostra, si fa riconoscere, srotolandosi lentamente. Qui come in altre zone la pagina da voltare si sta ancora riempiendo di danni e di vittime, diventa sempre più pesante. Oggi preoccupa tutti che la penna stia in mano soprattutto a Putin e Trump il 15 di agosto in Alaska.

Ma in questi giorni stiamo prendendo appunti da Maksym, da Nastiia, da Sergej e da molti altri, per tutte le persone che da noi in Europa si impegnano ancora per scrivere pagine di pace e nella solidarietà. Come spesso è accaduto, le migliori forze, intelligenze e intuizioni politiche sono emerse da situazioni tragiche, in cui apparentemente non c’è più niente da perdere.

Il tempo e le esperienze condivise qui e con queste persone, le vite che in qualche mondo stiamo mischiando con loro, ci spingono a vedere il mondo anche un po’ con i loro occhi, a cercare di non cedere al ricatto del benessere e della comodità, e a non dimenticare le nostre responsabilità, dell’Unione Europea, dei suoi Stati Membri, della società civile, continuando a lavorare per una politica più giusta e più coraggiosa.


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