L’incubo di Hill House, Adelphi 2004, uscito la prima volta nel1959, è considerato da molti il migliore libro di Shirley Jackson, la cui produzione purtroppo non è del tutto tradotta in italiano. E’ considerata una eccellente esponente di ghost – story nella migliore tradizione di Poe, Howthorn e James con libri come“La lotteria” del 1948, “L’incubo di Hill House” del 1959 e “Abbiamo sempre vissuto nel castello” del 1962. In vita ha raggiunto fama e successo specialmente con le umoristiche cronache familiari “Life Among the Savages” (1963), e “ Raising demons” (1957) e con redditizie collaborazioni alle riviste per signore. Autrice versatile anche di numerosi racconti*, alla sua morte è stata definita “La più benevola, cordiale, arguta e generosa delle streghe”o l’autrice che scrive “con un manico di scopa, più che con una penna”; oggi si ritiene limitativo rinchiudere la sua opera nei ristretti confini dell’horror come sembra ritengano alcuni suoi presunti seguaci come Stephen King e Neil Gaiman. La sua famiglia seguiva il culto della Christian Science e le fece conoscere fin dall’infanzia certe pratiche occulte come le sedute medianiche e l’uso dell’ Ouija board, la tavoletta degli spiriti. In seguito divenne atea e dichiarò in una conferenza di non credere ai fantasmi, tuttavia conservò un interesse per il soprannaturale, la magia e soprattutto la stregoneria.
“L’incubo di Hill House” affronta il classico tema horror della casa infestata. Il professore John Montague è laureato in antropologia e tiene molto al suo titolo poiché spera dia maggiore credibilità alle sue analisi di fenomeni paranormali, che in realtà non hanno niente di scientifico, ma costituiscono la sua autentica passione. Avendo avuto notizia di Hill House la affitta per tre mesi e la elegge sede di uno studio che spera decisivo “sulle cause e sugli effetti delle interferenze paranormali su una casa che aveva fama di essere stregata”. Per svolgere la sua ricerca cerca di mettere insieme una squadra di collaboratori, selezionando persone che in un modo o nell’altro, anche fugacemente o ambiguamente, avessero avuto esperienze fuori del normale. Infine invia una dozzina di lettere, invitando ciascuna di queste persone a trascorrere tutta o una parte dell’estate in una comoda casa di campagna. “Lo scopo del loro soggiorno, spiegavano le lettere, era di osservare, e di approfondire le varie storie raccapriccianti che erano circolate sulla casa per quasi tutti gli ottant’anni della sua esistenza. Le lettere del professor Montague non dicevano apertamente che a Hill House c’erano i fantasmi: il professore era un uomo di scienza e si sarebbe guardato bene dal cantar vittoria finché non avesse avuto prova di un vero fenomeno paranormale a Hill House. Di modo che le sue lettere avevano una certa ambigua dignità, intesa a far presa su un tipo di destinatario davvero speciale”. Infatti se dice che il professor Montague era un uomo di scienza, solo nella pagina precedente l’autrice ci aveva spiegato che le sue intenzioni riguardo a Hill House si ispiravano ai metodi “degli intrepidi cacciatori di fantasmi ottocenteschi”. Ma l’ambiguità e una certa ironia sono le linee su cui Jackson gioca tutto il romanzo e i suoi personaggi, lasciando al lettore la risposta della domanda se a Hill House ci sono i fantasmi o sono proiezioni della mente umana. Infine comunque si costituisce un gruppo di ricerca un po’ strampalato che riunisce una trentaduenne, Eleanor Vence, che a dodici anni ha assistito a probabili fenomeni di poltergeist, una caduta di sassi sulla sua casa per tre giorni dopo la morte del padre; Theodora – Theodora e basta, una giovane bella e estroversa, con ambizioni artistiche e probabili abilità di chiaroveggente; infine Luke Sanderson, futuro erede di Hill House, perdigiorno abile soprattutto a spillare denaro alla zia, reale proprietaria della residenza, la quale impone la sua presenza al professore come condizione per affittare Hill House. Protagonista della storia è Eleanor, che ha trascorso i suoi ultimi undici anni ad accudire la madre malata, morta da pochi mesi. Senza casa e senza mezzi vive con la sorella che odia; coglie la lettera del professore sperando in un’occasione, un riscatto dalla sua vita infelice e solitaria: “… di doman non c’è certezza” le risuona nella mente durante il viaggio con la macchina che ha sottratto di nascosto alla sorella. Accolti dall’ “abominevole” aspetto della casa e dai modi scoraggianti di Mr. e Mrs. Dudley, il maggiordomo e la governante, i tre ospiti stabiliscono subito un rapporto complice tra loro e con il cordiale professore Montague.
La casa ha un aspetto inquietante e labirintico, le porte delle stanze che vengono via via visitate non possono essere lasciate aperte perché si richiudono subito misteriosamente: i tre si organizzano sistemando alcune frecce per indicare i principali percorsi e eleggendo a loro punto di ritrovo un piccolo salottino; trovano inoltre conforto nella cucina inaspettatamente ottima della rigida e inflessibile Mrs. Dudley e in qualche bicchiere di brandy. Il professor Montague spiega ai tre collaboratori come il loro compito sarà quello di capire perché Hill House non riesca ad essere più abitata da vent’anni e come ogni inquilino che l’ha abitata se ne sia andato in fretta e furia adducendo spiegazioni razionali della propria partenza, tuttavia nessuno è rimasto e soprattutto non ne vuole parlare. Il professore afferma di sperare di scoprire se Hill House fosse una casa “empia fin dalla nascita” o se siano stati i suoi abitanti o quello che facevano a plasmarne la personalità. Aggiunge amaramente che la gente riderebbe a parlare di fantasmi e che ci sono degli scettici che escludono il soprannaturale e preferiscono “dare un’ etichetta alle cose, anche con un nome senza senso, purché abbia un’aura di scientificità”. Racconta poi la storia di Hill House che era stata fatta costruire in campagna da un certo Hugh Crain come residenza di famiglia, “dove sperava di veder crescere figli e nipoti fra gli agi e le comodità, e dove contava di finire in pace i suoi giorni”. La prima moglie morì ancora prima di entrare nella casa quando la carrozza si ribaltò nel viale. Hugh Crain rimase tuttavia a Hill House dove fece crescere le figlie da una governante, in seguito le affidò a una cugina. Si risposò due volte, ma perse presto anche le altre mogli. Alla sua morte la casa passò alla figlia maggiore, ci fu tuttavia un lungo litigio fra le sorelle riguardo altri beni di famiglia.
La sorella maggiore lasciò la casa alla dama di compagnia, ma la sorella minore insinuò che la sorella fosse stata da questa lasciata morire e la perseguitò tanto che la poveretta si impiccò al balconcino della torre. Infine dopo la sua morte il tribunale assegnò la casa ai Sanderson, cugini della dama di compagnia, mentre la sorella minore, ormai sulla strada della follia, continuò fino alla morte a perseguitare gli eventuali inquilini . Nei giorni seguenti, utilizzando una mappa del professore, il gruppo comincia l’esplorazione della casa, scoprendone la struttura complessa che rivela aspetti inquietanti della personalità del suo ideatore, Hugh Crain; particolarmente minacciose appaiono la torre e la camera delle due figlie, sulla cui soglia si viene investiti da una corrente di aria gelata, tipico segno di infestazione, sotto il ghigno orribile di due facce poste sopra la porta. Cominciano a manifestarsi fenomeni paranormali: i quattro vengono svegliati da forti rumori notturni, vengono investiti da un freddo gelido, per lunghi attimi le porte sembrano sussultare sui cardini. Gli ospiti, sebbene vivano attimi di paura dapprima reagiscono con una certa esaltazione a queste esperienze, poi i fenomeni si ripetono con maggiore intensità: i colpi alle pareti ricordano a Eleanor quelli della madre malata che la chiamava dalla stanza accanto, gli abiti di Theodora vengono lacerati, compaiono misteriose scritte tracciate con gesso e poi con sangue che chiedono di aiutare Eleanor a tornare a casa. L’autrice non rinuncia a inserire una nota comica con l’arrivo della moglie del professore con il suo assistente, una medium armata di planchette con cui ritiene di poter dialogare con gli spiriti sofferenti che abitano la casa, ai quali vuole arrecare amore e conforto. La planchette, spiegherà il professore ai suoi tre collaboratori, è una specie di tavoletta Ouija, ma a suo giudizio si tratta solo di “balle”e superstizione. Nonostante le divergenze di metodi tra il professore e la moglie anche lei riferisce di un messaggio dettato dalla planchette che evoca ripetutamente il nome di Eleanor e le parole mamma, casa, persa. Eleanor rimane viepiù turbata, perde l’iniziale determinato entusiasmo per l’esperienza, confessa al professore il senso di colpa che la madre sia morta perché lei non ha risposto prontamente ai suoi colpi sul muro che la chiamavano. Anche i suoi rapporti con Luke e Theodora, all’inizio cordiali, sembrano guastarsi e lei si sente di nuovo sola, povera, senza amici e senza casa. Eleanor aveva confessato in una conversazione con i compagni che aveva sempre paura di essere sola, tuttavia Theodora aveva rifiutato la sua proposta di andare a vivere insieme dopo aver lasciato Hill House. Il personaggio di Eleanor si manifesta in tutta la sua fragilità e irrimediabile solitudine. La vicenda si avvia a un finale tragico e il libro si chiude con le stesse parole del fulminante incipit .
*v. Ornella Cioni, Shiley Jackson, Un giorno come un altro:il bene e, più spesso il male, nella tranquilla provincia americana, in Libridine. Articolo 21, 11 – 07 – 2023
