In un momento in cui gli occhi continuano a essere puntati sullo scenario mediorientale e sui possibili sconvolgimenti in termini di equilibri geopolitici nell’area e le grandi potenze occidentali sembrano avere come unica priorità la corsa agli armamenti, la questione climatica è drammaticamente passata in secondo piano ( per non dire scomparsa) con tutto quello che ciò comporta. Anche in termini di attenzione alla salute globale. Sì, perché c’è un nesso molto forte tra cambiamenti climatici, quindi salute del pianeta, salute animale e salute umana, nesso che era divenuto particolarmente lampante con la pandemia di Covid19, e che avevamo imparato a conoscere sotto il nome di One Health.
A ricordare la necessità e l’urgenza che invece si torni a ragionare sul tema e su questo tipo di approccio, intersettoriale e integrato, ci hanno pensato il Network italiano Salute Globale e Aidos-Associazione italiana Donne per lo Sviluppo con la pubblicazione del rapporto “Salute globale e One Health: le sfide della crisi climatica” presentato il 26 giugno, presso la Camera dei Deputati.
Le sfide che il mondo deve affrontare, come dovrebbe essere ampiamente noto ma che, giustamente, il paper rimarca, sono molteplici ed estremamente complesse: i cambiamenti climatici creano instabilità a livello politico, nuovi conflitti, difficoltà di accesso al cibo e all’acqua potabile, difficoltà di accesso alle cure, soprattutto in paesi con un sistema sanitario particolarmente fragile o addirittura assente, migrazioni forzate, e aumentano nel contempo il rischio di diffusione di epidemie su larga a scala. Infatti, secondo molti esperti, come ricorda Stefano Vella nell’introduzione al rapporto, nei prossimi 20-25 anni, il rischio che il mondo venga attraversato da un’altra pandemia è estremamente elevato. Esistono però degli strumenti da mettere in campo per evitare che si ripeta quanto accaduto con il Covid: investimenti nella ricerca, azioni di prevenzione puntando sull’uso dei vaccini, azioni più decise per debellare in maniera definitiva epidemie quali HIV/AIDS, tubercolosi e malaria il cui impatto, in alcune aree del globo, è ancora drammatico in termini di costi in vite umane.
Ma non c’è solo il rischio pandemico… Solo per citare qualche dato: nel 2023 i morti, in Europa, sono stati 70.000, a causa dell’innalzamento delle temperature ( nel 2024 la temperatura si è innalzata a livello globale di 1,5°C rispetto all’era preindustriale), mentre, secondo uno studio del 2021 l’uso dei combustibili fossili immette nell’aria sostanze nocive corresponsabili di oltre 10 milioni di morti premature nel mondo.
Ecco perché appare più che mai necessario lavorare ad una strategia integrata, sottolineano in conferenza stampa i partecipanti, che, oltre a optare per l’approccio One Health, volto a garantire la piena attuazione del diritto alla salute globale, tenga conto e metta a frutto ( soprattutto nei paesi più esposti agli impatti della crisi climatica) le buone pratiche sperimentate finora: dall’impiego delle unità sanitarie mobili alle pratiche di coinvolgimento delle comunità locali, e che può funzionare solo nella misura in cui ci sia un impegno reale e concreto da parte dei paesi più sviluppati. Che, detto in altri termini, significa tornare a occuparsi del clima.
Per questo motivo, tra le raccomandazioni finali che i promotori del rapporto rivolgono all’Italia vi è una particolare sottolineatura per il Global fund (Fondo Globale per la Lotta all’AIDS, la Tubercolosi e la Malaria) in vista dell’ottava Conferenza di rifinanziamento di quest’anno per il periodo 2026-28, il rispetto per gli impegni presi (nell’ambito dei diversi summit internazionali) in termini di transizione energetica, e il raggiungimento del tetto dello 0,7% del reddito nazionale lordo in aiuto pubblico allo sviluppo entro il 2030, come previsto dall’agenda ONU.
Uno spazio particolare, all’interno del rapporto, è infine dedicato alla prevenzione della violenza di genere e, laddove necessario, al contrasto ai matrimoni precoci e alle mutilazioni genitali femminili, che registrano significative impennate in caso di conflitti, crisi climatiche o disastri ambientali, riconoscendo e promuovendo al contempo, il ruolo di donne e ragazze come agenti positivi di cambiamento, a livello locale e globale.
Come tutto questo si concilierà però con la recente decisione, da parte dei Paesi aderenti alla NATO, di incrementare la spesa militare fino al 5% del Pil, questo è un altro paio di maniche.
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https://www.networksaluteglobale.it/wp-content/uploads/2025/06/policy-paper-2025-web.pdf
