Giornalismo sotto attacco in Italia

Padre Paolo dall’Oglio. Ancora un mistero?

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Come accade da quasi dodici anni, le voci su padre Paolo Dall’Oglio rimangono avvolte nel mistero. Hanno ritrovato il suo corpo? La voce, che circolava da giorni, da quando un giornalista siriano di Raqqa, una persona che chi conosce definisce “perbene”, ha scritto su Facebook che una delegazione curda giunta a Raqqa aveva rivenuto in un cimitero, quello di al Furuja, il corpo di un uomo molto alto, forse quello di Paolo, senza aggiungere altro. Il fatto, ha scritto il collega negli ultimi giorni della scorsa settimana, risaliva a qualche giorno prima. Da quando un amico siriano mi ha riferito questa storia, mantenendo il più assoluto riserbo, una folla di pensieri ha cominciato ad inseguirsi dentro di me. Non era la prima volta che accadeva una cosa del genere. Gli anni che ci separano dal suo sequestro, il 29 luglio del 2013, sono pieni di voci simili, di rivelazioni che come in una doccia scozzese prima scottano con l’annuncio a sorpresa e poi gelano il sangue con la sua smentita. E anche questa volta ho cominciato a domandarmi: perché se le cose stanno così i curdi non confermano che hanno avuto una indicazione affidabile da un prigioniero dell’Isis, sono andati nella località indicatagli e ora stanno cercando di capire? E’ da anni che tutti sappiamo che i prigionieri dell’Isis sono nelle mani dei curdi.

Ricordo che il carissimo collega Amedeo Ricucci, poco prima di scomparire ancora giovanissimo purtroppo, era andato proprio sulle tracce di padre Paolo fino a Raqqa e aveva individuato tal Abu Faysal, un ex emiro dell’Isis, che catturato dai curdi, poteva sapere della fine di Paolo. Ma i curdi, da lui contattati per tornare a Raqqaa a intervistarlo, non gli hanno mai concesso la necessaria autorizzazione. Questo Abu Faysal, venne a sapere Amedeo, apparteneva a una tribù molto potente, era tenuto dai curdi in una sorta di arresti domiciliari, la sua non era una storia semplice da sbrogliare: forse i curdi lo temevano, forse poteva creargli problemi. Non so di più, so che i tentativi di Amedeo di intervistarlo non ebbero successo, non riuscì a sapere se il 29 luglio a Raqqa, come gli avevano sussurrato alcuni, questo Abu Faisal aveva aperto le porte del comando generale dell’Isis a padre Paolo. Questo ricordo mi dice qualcosa, di nuovo: il mistero di Paolo si intreccia con altri misteri, i rapporti tra i curdi e questi personaggi temuti, influenti, pericolosi, ex Isis, non hanno mai prodotto notizie. Sono anni che si trovano nel loro controllo ma cosa hanno fatto sapere del fiume di siriani che nel corso degli anni l’Isis e il regime di Assad, come due mostri avvinghiati in un macabro balletto, hanno fatto sparire? Così mi viene il sospetto che il misterioso testo su Facebook di questo collega siriano che non conosco, voglia come forzare un tentativo di nascondere il fatto: un qualcuno dell’Isis ha parlato, qualcosa è emerso, ma ci sono resistenze a farlo emergere. Ma subito dopo penso che potrebbe essere vero anche il contrario: questa è l’ora della lotta all’Isis, dei proclami di tutti, o di un rinnovato impegno contro di loro. La fine di questo mistero, il misero di padre Paolo, può spiegarsi anche così: la si fa emergere, al di là della sua fondatezza, per dire che qualcuno sta agendo per scoprire i segreti dell’Isis. Siamo nella palude delle possibile azioni di diversi, configgenti servizi segreti, che si accompagnano a sospetti, bugie, insinuazioni. E’ tutto questo che ha sequestrato padre Paolo dopo il suo vero sequestro: una palude di voci che rende tutti sospettosi, che illude, e poi si risolve in un nuovo mistero. E’ il destino di padre Paolo? In realtà, sebbene pochi lo scrivano, simboleggia ai nostri occhi il dramma di migliaia di famiglie siriane che ogni giorno vivono lo stesso dramma da anni, senza trovarne il bandolo: cosa è accaduto ai loro cari? Così ora mi ritrovo a domandarmi cosa sia emerso di nuovo su Paolo, dodici anni dopo il suo sequestro? E’ vero che lo hanno trovato? Chi conduce le indagini medico-legali in quella zona lo nega. E dopo questa presa di posizione nessuno è intervenuto a dire con dati inoppugnabili che la notizia è vera. Per di più da quando è emersa la voce non si dice che è stato trovato un corpo che potrebbe essere quello di padre Paolo, ma che è proprio il suo: e come asserire una cosa del genere quando parleremmo di un corpo abbandonato anni e anni fa? Così torna il dolore, il timore che la vicenda di padre Paolo sia usata, di nuovo. Ma da chi? Da chi tenta di farla emergere o da chi vuole impedirlo? Si fa sera e senza averne idea incappo in un’intervista assai strana: A Rai 3 il vicario apostolico di Aleppo, monsignor Hanna Jallouf, dice che lui sa che Paolo è stato ucciso il 22 aprile del 2014.

E cosa avrebbe fatto dalla data del suo sequestro, nove mesi prima, a quel giorno? Damilano glielo chiede ma lui non sa cosa dire. Dice sola che voleva entrare nella Siria controllata da Assad. Strano, uno vuole andare nella Siria controllata da Assad e va in quella dove c’è l’Isis. Anche queste sono parole che sorprendono, come quelle sulla ragione del suo assassinio: un diverbio con un ordinario miliziano dell’Isis che voleva impedirgli di passare illegalmente nei territori di Assad e al quale Paolo si sarebbe rivolto in termini bruschi. Davvero? Questo mi addolora profondamente, forse il vescovo non padroneggia l’italiano, forse io ho capito male; preferisco pensarla così.


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