Giornalismo sotto attacco in Italia

La commedia della guerra

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La guerra e di conseguenza le armi come contraddizione della modernità: è questo il passo avanti della storia nell’intreccio dominante tra tecnocrazia e autoritarismo?

L’intelligenza artificiale (senza intelligenza come scrive oggi 25 giugno Vincenzo Vita sul “Manifesto”) quale strumento di questo nuovo passaggio nella riduzione hobbesiana del rapporto tra politica e vivere civile che sta avvenendo nel segno del dominio identificato nella guerra?

Sarà facile riconoscere l’altalena di questi giorni come “La commedia della guerra” con unici perdenti i popoli vessati e bastonati dal gioco a scacchi dei potenti.

Però è emersa chiara la contesa che è quella del riarmo, dell’inseguimento a bombe sempre più potenti, missili ultrasonici, droni guidati da remoto per bombardare la povera gente nella consueta logica dei “danni collaterali” ecc, ecc..

Il riarmo va finanziato per favorire i profitti e per tenere alta la tensione in un quadro di militarizzazione complessiva di una dimensione globale che non garantisce neppure l’equilibrio del terrore di antica memoria della guerra fredda.

Militarizzazione destinata a ridurre ancora di più la complessità della politica a schema binario, con il gran ritorno della diarchia (almeno apparente) amico/nemico.

E’ tornato di moda Le Bon e la sua psicologia delle masse (del resto indispensabile per esaltare il nazionalismo, la difesa della propria “civiltà” e far accettare come indispensabile la regressione democratica) e torna di moda Carl Schimtt attraverso l’estensione del cui pensiero si pensa di militarizzare lo scontro politico.

Obiettivo: non corrispondere più alle esigenze e ai bisogni di massa in termini di welfare e di equilibrio economico per favorire al massimo disuguaglianza e povertà intese come nuove frontiere sulle quali reggere regimi della paura.

Un futuro difficile da interpretare che sembra riduttivo far star dentro a un sistema di incognite in una prospettiva che appare regressiva in assenza di una indispensabile “cultura del limite” che rappresenterebbe, per la sinistra, il necessario vero salto di paradigma.


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