Giornalismo sotto attacco in Italia

«Dalla parte di lei»: pensare scrivere e resistere

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Quattro anni fa, il 31 maggio del 2021, ultimo lunedì del mese, esordiva una nuova rubrica della rivista on-line «Articolo 21» con il titolo «Dalla Parte di Lei». La nostra rubrica compie quindi quattro anni. Abbiamo pensato che questo traguardo necessiti di un primo bilancio e di una riflessione che vi proponiamo in questo ultimo lunedì di maggio 2025.

Lanciando la nostra rubrica abbiamo motivato la scelta del titolo di cui siamo ancora molto convinte. Dalla parte di lei è il romanzo più significativo di Alba De Cespedes, uscito nel 1949: un vero capolavoro che mette al centro della narrazione la storia di una donna, Alessandra, negli anni del fascismo e poi della Resistenza, una donna che nel suo percorso di formazione assume consapevolezza di sé e si mette nel mondo. «Dalla parte di lei» è anche il titolo che Alba De Cespedes sceglie – qualche anno più tardi – per una rubrica da lei curata per il settimanale «Epoca», allora diretto da Enzo Biagi.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre del ’43, Alba De Cespedes era stata costretta ad abbandonare precipitosamente Roma, il 23 settembre e aveva trovato rifugio, assieme ad altri fuggiaschi, per due mesi in Abruzzo, nelle masserie e tra i boschi e la foresta della Defensa, dormendo spesso nelle grotte naturali della montagna o nelle stalle, per sfuggire ai rastrellamenti dei nazifascisti, in attesa di attraversare la linea del fronte sul Sangro e raggiungere l’Italia liberata dagli Alleati. Solo alla fine di novembre del ’43 era riuscita a raggiungere Bari.

Arrivata fortunosamente a Bari, inizia il 1° dicembre 1943 la collaborazione a Radio Bari, dove partecipa alla trasmissione «Italia combatte», con una rubrica di grande ascolto che conduce personalmente «La voce di Clorinda». Due volte alla settimana, per mezz’ora, la voce di «Clorinda» entra nelle case degli Italiani e delle Italiane per raccontare loro la realtà dell’Italia occupata. Nella rubrica condotta da Alba le donne diventano le destinatarie privilegiate delle sue esortazioni, assumono il ruolo di protagoniste di una resistenza silenziosa ma costante: «Tutti parlano agli uomini perché combattono o rischiano, ma alle donne che aspettano non è stato parlato finora. Ci vuol molto coraggio per aspettare: processioni di giornate solitarie nella casa fredda dove non più la cara voce risuona, ogni giornata uguale all’altra». Con toni colloquiali, evocando contesti familiari ed esperienze personali, De Cespedes si rivolge direttamente alle donne: «È una donna che vi parla stasera. Una donna che ha lasciato la sua casa in due ore, si è cacciata in un treno all’alba, ha avuto giorni difficili fuggendo i tedeschi di paese in paese, e poi ha deciso di guadare il Sangro e traversare le linee del fuoco per venire da questa parte. Ma stasera io non vi parlo in veste di giornalista o di scrittrice. Stasera io voglio parlare da donna alle innumerevoli donne italiane che aspettano il ritorno dei loro uomini che sono quaggiù».

Partendo da sé, dalle sue esperienze di vita vissuta, De Cespedes invita le donne a «fare qualcosa», a mettersi al mondo: «Credete di non poter far nulla, voi, chiuse nel giro della vostra vita consueta, casa e ufficio, casa e ufficio. Credete. E invece io vi dico che potete, voi, proprio voi, col vostro grembiulino nero, davanti alla vostra macchina da scrivere, essere altrettanto utile di un patriota o di un soldato. Ci sono anzi cose che essi vorrebbero fare e non possono, cose che non potete fare che voi».

Nel febbraio ’44 si trasferisce a Napoli e riprende il lavoro alla Radio. Da Napoli, dal maggio ’44, comincia a progettare la rivista «Mercurio mensile di politica, arte, scienze», che dirige dal 1° settembre ’44 fino al marzo-giugno ’48: è la prima rivista ad uscire dopo la liberazione di Roma ed è diretta da una donna. Ne usciranno complessivamente 39 numeri (alcuni doppi). «Mercurio» fin dal primo numero si fa sostenitore dei «valori autentici dello spirito italiano» e dichiara di voler essere «un documento di giudizio, una testimonianza di questo tempo». Proprio per rendere testimonianza, la rivista produrrà un documento straordinario: nel numero del dicembre ’44, vengono accorpati insieme, in oltre 300 pagine, 75 racconti dedicati alla Resistenza con le esperienze vissute da politici, intellettuali, artisti e scrittori. Troviamo così le testimonianze di Alvaro, Savinio, Pratolini, Moravia, Manzini, Muscetta, Piovene, Bellonci, Bigiaretti, Bontempelli e della stessa De Cèspedes; ma anche altri contributi, tra cui 16 ottobre 1943 di Giacomo Debenedetti, le poesie di Ginzburg, Masino, Bassani, Monterosso, Montale.

La rivista si propone come uno spazio culturale aperto, senza steccati ideologici, dove coesistono passione civile, creatività letteraria e artistica, cultura scientifica. Al progetto aderiscono firme di eccellenza quali: Alberto Moravia, Eugenio Montale, Sibilla Aleramo, Paola Masino, Natalia Ginzburg, Mario Luzi, Aldo Palazzeschi, Renato Guttuso, Giorgio Morandi, Toti Scialoja.

L’ultimo numero di «Mercurio» pubblica l’ormai celebre dialogo tra Natalia Ginzburg e Alba De Cespedes sul “pozzo segreto delle donne”. Siamo nel 1948: le due scrittrici hanno vissuto entrambe gli anni bui del fascismo e l’impegno nella Resistenza, il loro confronto è interessante. L’articolo di Natalia Ginzburg vede nel “pozzo segreto” delle donne la loro fragilità; la lettera di commento di Alba De Cespedes rilancia e ribalta la situazione. Entrambe sostengono che alle donne, a tutte le donne capita di essere prese da una specie di angoscia malinconica e di “cadere nel pozzo” (una metafora). Scrive Ginzburg: «le donne con tanti secoli di schiavitù sulle spalle devono difendersi dall’abitudine di cascare nel pozzo ogni tanto, perché un essere libero non casca quasi mai nel pozzo, e non pensa così sempre a se stesso ma si occupa di tutte le cose importanti e serie che ci sono al mondo e si occupa di se stesso soltanto per sforzarsi di essere ogni giorno più libero. Così devo imparare a fare anch’io perché se no certo non potrò combinare niente di serio e il mondo non andrà mai avanti finché sarà popolato da una schiera di esseri non liberi».

Con pacatezza, ma con determinazione, De Cespedes ribatte: «Carissima,…Poiché anch’io, come tutte le donne, ho grande e antica pratica di pozzi: mi accade spesso di cadervi e vi cado proprio di schianto, appunto perché tutti credono che io sia una donna forte e io stessa, quando sono fuori dal pozzo, lo credo. Ma al contrario di te, io credo che questi pozzi siano la nostra forza. Poiché ogni volta che cadiamo in un pozzo noi scendiamo alle più profonde radici del nostro essere umano, e nel riaffiorare portiamo in noi esperienze tali che ci permettono tutto quello che gli uomini, che non cadono mai nel pozzo, non comprenderanno mai. Chi scende nel pozzo conosce la pietà. E come si può vivere agire governare con giustizia senza conoscere la pietà? Tu dici che le donne non sono esseri liberi: e io credo invece che debbano soltanto acquisire consapevolezza delle virtù di quel pozzo e diffondere la luce delle esperienze fatte al fondo di esso, le quali costituiscono il fondamento di quella solidarietà oggi segreta e istintiva domani consapevole e palese. Che si forma tra le donne anche sconosciute l’una all’altra. Volevo dirti ancora che, a parer mio, le donne sono esseri liberi».

Nell’assumere come titolo della nostra rubrica «Dalla parte di lei» abbiamo voluto rendere omaggio ad una “madre simbolica” che già quasi ottant’anni fa aveva saputo nominare la «forza» delle donne, riconoscerne la «pietà», quella che Adriana Cavarero ha individuato nell’«inclinazione» verso l’altro/a, criticando la «rettitudine» insita nel dominio patriarcale. Ma De Cespedes ha invitato le donne ad avere consapevolezza di sé, ad agire con solidarietà e soprattutto a perseguire la libertà femminile.

In questi quattro anni abbiamo lavorato per far conoscere, riproporre e valorizzare figure di donne che nel mettersi al mondo e nel mettersi nel mondo hanno raggiunto una forte consapevolezza di sé, hanno conosciuto la pietà e la solidarietà verso l’altro/a, senza mai rinunciare alla propria libertà. Abbiamo raccontato delle tante donne che sono state protagoniste nei mesi difficili della pandemia, nei luoghi della cura (casa, scuola ospedali) ma anche di coloro che nella ricerca, nella conoscenza, nel volontariato sociale, nell’impegno per la legalità e la giustizia hanno saputo essere nel mondo e agire per renderlo migliore. L’autorevolezza delle donne è ora visibile non più eludibile, circola e si mostra nel mondo e nel nostro paese. Noi l’abbiamo raccontata, abbiamo raccontato le loro storie, attraversando confini, generi, differenze e divisioni, superando gli stereotipi, mostrando il potere curativo della parola.

Un segnale di questa inversione di tendenza sono i tre prestigiosi premi letterari attribuiti nel 2024 a tre donne: il premio “Viareggio Rèpaci” a Silvia Avallone per il romanzo Cuore nero; lo “Strega” a Donatella Di Pietrantonio per il romanzo L’età fragile; il “Campiello” a Federica Manzon per il romanzo Alma. In un mondo finalmente liberato dal patriarcato, questo non dovrebbe essere una notizia, come non lo è stata nei lunghi decenni in cui quegli stessi premi venivano vinti da tre uomini.

«Dalla parte di lei» ha esordito quattro anni fa con il profilo della scrittrice Paola Drigo e del suo romanzo Maria Zef (1938) che ci ha portato al centro di un dibattito più che mai attuale: la violenza degli uomini contro le donne. Un problema persistente che affonda le sue radici in una mentalità patriarcale che ancora resiste e considera le donne ‘oggetti di consumo’, alla stregua di una proprietà. Un modo di concepire la relazione tra uomini e donne esclusivamente in termini di dominio e di sopraffazione, che uccide la donna che rifiuta questa logica, rivendicando la sua libertà. E questo si verifica non solo in Italia ma in tutto il mondo, con modalità differenti ma tutte crudeli e sanguinarie, fino al femminicidio.

Il romanzo Maria Zef termina con queste parole: «Rosùte no, Rosùte no (era la sorella più piccola ndr). La cucina era così piccola che le bastò senza muoversi, tendere il braccio per afferrare la scure … Ella l’afferrò e l’alzò quanto più alto poté. La lama lampeggiò nell’ombra. Mirò al collo, e vibrò il colpo. Non un grido: solo un fiotto di sangue».

Dieci anni dopo esce Dalla parte di Lei: Alba de Cespedes scrive nella prefazione:«Questo libro è la storia di un grande amore e di un delitto» e anche di una rivolta. Solo Anna Banti, recensendolo, si rende conto di essere di fronte ad un libro ‘di rottura’, un libro «difficilissimo e ostico» soprattutto nell’impatto con il pubblico maschile. Ed è l’unica a cogliere nel segno quando afferma che De Cespedes, con questo romanzo «sembra aver rinunziato di proposito alla felicità del consenso per dedicarsi al rischio di parteggiare» (A. Banti). Melania Mazzucco, presentando la nuova edizione nel 2021, sceglie per la sua introduzione un titolo provocatorio: Tutte le donne sono innocenti.

Dal febbraio 2022, con la guerra nel cuore dell’Europa, ci siamo interrogate, facendo tesoro del pensiero magistrale di Virginia Woolf, come sia possibile «lottare senza armi per la libertà» e, facendo della sua riflessione un punto di forza, siamo persuase che: «possiamo lottare con la mente; fabbricare delle idee», perché «lottare mentalmente significa pensare contro la corrente e non a favore di essa».

Lea Melandri, in una lucida riflessione dell’aprile 2022, individua nelle guerre uno «strumento di dominio» che affonda le «sue lontane, ma durature radici» nella cultura patriarcale, stabilendo una stretta connessione tra le due forme di sopraffazione: «a riportare un ordine patriarcale in declino ci pensa, come è già capitato più volte nella storia, la guerra: quella domestica dei femminicidi e quella sociale delle armi». Edith Bruck, intervistata in quelle settimane, ancorandosi alla sua esperienza di sopravvissuta, ribadisce con forza che «Nessuna guerra è giusta. E nessuna guerra è paragonabile ad un’altra guerra. Nessun disastro si rimedia con un altro disastro».

Trovando una solida sponda in un pensiero di origine femminile, abbiamo riflettuto e scritto di pace e di guerra, consapevoli che la guerra «non ha il volto di donna». Nel contempo abbiamo dato visibilità e valorizzato tutte le iniziative promosse e realizzate da donne che si sono proposte come autentiche «costruttrici di pace». Esemplare in questo senso il “Premio per la pace e la nonviolenza” che dal 2016 il comune di Monteleone di Puglia ha istituito, come pubblico riconoscimento a donne distintesi per l’impegno a favore della pace e della nonviolenza. Il Premio viene attribuito nella giornata dell’8 marzo, festa della donna.

In questi anni, Papa Francesco ha parlato, molto opportunamente, di “terza guerra mondiale a pezzi”: la guerra in Ucraina da una parte, l’attentato terroristico di Hamas il 7 ottobre 2023 con oltre mille civili assassinati e quasi 300 sequestrati, la rappresaglia israeliana trasformata in guerra di sterminio contro il popolo palestinese a Gaza, che ha coinvolto anche Libano e Cisgiordania (con oltre 20 mila bambini morti per il fuoco bellico e per il blocco degli aiuti umanitari. Siamo di fronte ad una strage degli innocenti.

La riflessione sul lavoro fin qui portato avanti ci stimola ad aprire nuovi orizzonti, a coltivare la speranza di un futuro di pace, ancorandoci a ‘momenti radianti’ di un passato recente, da riscoprire e valorizzare, in cui le donne cominciarono ad entrare da protagoniste nella storia politica ed istituzionale del nostro paese.

È venuta così prendendo forma l’idea di costruire un percorso, un itinerario che evidenzi con chiarezza i diversi fili conduttori che si incrociano, intrecciandosi con l’ingresso nella scena pubblica delle donne, quando venne loro riconosciuta la cittadinanza attiva (diritto di voto) e furono chiamate a cooperare fattivamente alla costituzione della Repubblica nata dalle macerie della seconda guerra mondiale. A fornire il ductus del nostro discorso, scandendo le diverse tappe del percorso, ci saranno di aiuto alcuni anniversari. Se quest’anno (2025) celebriamo l’ottantesimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo, il prossimo anno (2026) sarà l’ottantesimo della Repubblica e della elezione dell’Assemblea Costituente, mentre tra la fine del 2027 e l’inizio del 2028 andremo a ricordare l’ottantesimo dell’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana (1° gennaio 1948), Costituzione firmata da Umberto Terracini il 27 dicembre del 1947.

Sulle colonne del «Corriere della Sera» di giovedì 6 giugno 1946, Piero Calamandrei commentava così i risultati del referendum del 2 giugno: «È un miracolo della ragione che una Repubblica sia stata proclamata per libera scelta di popolo mentre era ancora sul trono il re». Aggiungiamo un altro miracolo: le donne votano per la prima volta (a marzo per elezioni amministrative, otto donne sindaco) e poi per il referendum e per l’elezione dell’Assemblea Costituente. Molti uomini temevano il voto delle donne che invece andarono a votare convinte e felici di aver conquistato un diritto loro negato e per il quale per decenni avevano lottato. Ricordiamo la forza espressiva della sequenza finale del film di Paola Cortellesi, C’è ancora domani.

In questi quattro anni abbiamo accostato figure autorevoli di donne che hanno avuto un ruolo nella resistenza al nazifascismo: da Tina Anselmi a Flora Cocco. Molte di loro sono state studiate e valorizzate grazie al lavoro paziente ed appassionato delle storiche. Ma tantissime sono ancora le donne che sono “sommerse”, abbandonate all’oblio. Dobbiamo proseguire la ricerca, restituire loro un volto e una voce: ce ne sono tante da raccontare, le donne protagoniste della lotta politica fino al primo voto al referendum. Vorremmo soprattutto partire dalle 21 “Madri costituenti” e proseguire con figure che sono state e sono significative dopo di loro.


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