Arriva un momento, nella vita di ciascuno di noi, in cui sentiamo il bisogno di restituire ciò che abbiamo visto, vissuto, attraversato. Non per dovere, ma per gratitudine verso ciò che la vita ci ha insegnato. È da questo impulso che nasce il Sillabario minimo della giustizia, il primo libro di Roberto Tanisi, giudice salentino, figura autorevole della magistratura italiana.
Dopo una carriera trascorsa tra faldoni, processi e aule di tribunale, Tanisi sceglie un gesto radicale: affidarsi alle lettere dell’alfabeto. A, B, C… come in un abbecedario. Non per semplificare in modo banale, ma per rendere accessibile un mondo che troppo spesso appare distante, rigido, inaccessibile. Il diritto, la giustizia, il linguaggio della legge: tutte cose che ascoltiamo ogni giorno, ma che raramente comprendiamo davvero.
Nel suo libro, edito da Chiriatti, Tanisi costruisce un piccolo ponte tra chi conosce e chi vuole capire. Lo fa con umiltà, competenza e un profondo senso del dovere civile. Il sillabario nasce dal confronto con i giovani, ma anche dai tanti incontri pubblici, dai dibattiti, dai dialoghi con cittadini adulti disorientati o spaventati di fronte alla macchina giudiziaria.
Un linguaggio semplice per questioni complesse
Quante volte, seguendo un caso di cronaca, ci siamo chiesti il perché di certe scelte? L’uso delle parole, che dovrebbe essere un atto di cura e rigore, finisce spesso per diventare abuso e deformazione. Tanisi sceglie invece di tornare all’essenziale: al linguaggio come strumento per comprendere, non per confondere.
Tra le pagine, ci si imbatte in parole che pesano. Alla lettera “F”, ad esempio, troviamo il femminicidio. Tanisi non lo tratta come un fatto di cronaca, ma come una ferita culturale che affonda le radici in un patriarcato ancora presente. Lo fa con rispetto, citando figure come Marcela Lagarde, che ha lottato per dare un nome a ciò che prima restava nell’ombra.
Ma si parla anche di “dubbio” – una parola che potremmo pensare estranea a un giudice, e che invece Tanisi considera un’alleata. Il dubbio, spiega, è la scintilla della riflessione, l’antidoto alla presunzione. E senza dubbio, non può esserci giustizia.
Poi c’è “errore”, forse la più pesante delle parole. Perché sbagliare, in magistratura, può cambiare la vita delle persone. È un carico di responsabilità che Tanisi non minimizza, anzi: lo rende parte integrante del racconto, con onestà e consapevolezza.
Un libro per tutti, soprattutto per i giovani
Il progetto è semplice, ma potente. Come tutte le cose fatte con passione vera. Questo libro non è pensato solo per gli esperti, ma anzi: vorrebbe stare sui banchi di scuola, diventare strumento di cittadinanza attiva. Perché solo conoscendo i fondamenti della giustizia possiamo davvero esercitare i nostri diritti. Solo sapendo, possiamo scegliere. E solo scegliendo, possiamo cambiare.
La scelta del tempo e della responsabilità
Infine, c’è un messaggio che attraversa tutto il libro: la responsabilità del sapere. Ognuno di noi sceglie quale valore dare al proprio tempo. Roberto Tanisi ha scelto di impegnarsi nell’antimafia sociale, affiancando giovani e adulti nella costruzione di una nuova consapevolezza etica. Ha scelto la strada più difficile: educare, invece che impressionare. Costruire ponti, invece che trincee.
In un’epoca in cui il diritto rischia di diventare spettacolo, o peggio arma retorica, questo sillabario è un invito a rallentare, riflettere, imparare. È una bussola preziosa per chi crede ancora che le parole possano illuminare la strada della giustizia.
