Nella labilità di questo nostro tempo, in cui le tecnologie favoriscono come non mai l’apparire sull’essere, le parole diventano davvero pietre, sebbene friabilissime. Finchè sta in piedi, costruire un’immagine pubblica equivale perciò a piantare una statua in piazza. Per farne d’immediato una monumentale idolatria a cui si inchina devota un bel pezzo dell’informazione, che in Italia (e -per la verità- non soltanto) comprende giornali di solito impegnati a esibire una loro inimitabile sagacia. A prescindere dalla verità dei fatti. Una liturgia della retorica che serve a legittimare il metodo: “el nuevo modelo global”, nell’autocelebrazione di Javier Milei, l’anarco-liberista presidente argentino ormai assunto a nume tutelare nel pantheon dell’estrema destra occidentale, da Washington a Roma.
Al quale viene perciò attribuita una genialità miracolistica, capace di risolvere in una manciata di mesi problemi economici accumulati in decenni e almeno parzialmente originati dall’iniquità degli scambi tra i paesi industrializzati e quelli essenzialmente fornitori di materie prime. Serve a celebrare il taglio selvaggio a salari e pensioni, sanità e istruzione, finanziamenti alla ricerca scientifica e sussidi d’ogni genere con cui ha frenato un’inflazione sul punto di esplodere. E’ il trionfo dell’uomo solo al comando che schifa le mezze misure? Basta nascondere la metà dei 47 milioni di argentini gettati nella disperazione, l’intera economia reale rimasta sulla soglia della recessione, mentre alle sue spalle non s’è tuttavia dissolto il fantasma del default. Qualcuno che ci crede si trova sempre.
“Comunisti figli di puttana, vi stanerò anche dagli angoli più remoti del pianeta…”, minaccia generico ma violentissimo da Washington Milei via social, nell’intento di difendere l’innocenza dell’aggressivo interventismo politico di Elon Musk. Parla a Davos in cerca d’investimenti che non arrivano e aggiunge:” L’ideologia woke è un cancro… LGBT+ sono tutti pedofili…”. In America Latina è uno scandalo, l’Argentina ribolle; ma anche negli Stati Uniti e tra gli stessi intervenuti al Foro Economico svizzero ci sono sussulti. I sorrisetti per le ormai ricorrenti estemporaneità del loco argentino storcono le bocche. L’eloquio del capo di stato che in patria scatena interrogazioni parlamentari e denunce penali per chi vuol minimizzare va preso come esuberante folclore, del resto i latini -si sa- sono portati a infiammarsi facilmente… Non è razzismo ma un po’ gli somiglia l’atteggiamento solo superficialmente tollerante, comprensivo di quanti poi parlano (e scrivono) di un’Argentina insolvente seriale, quasi fosse un tratto del carattere nazionale. Andrebbe chiarito se solo alludono a quello dei gruppi dirigenti, tra i quali è cresciuto e trova supporto Milei. L’importante -non solo a Davos- è sapere quando quel governo aprirà alla libera circolazione della moneta. Cioè a quel mercato totalmente aperto che è il suo sbandieratissimo vessillo. Ma a questo punto Milei diventa realista, alla rabbia sostituisce prontamente l’humor:” Siamo liberisti, non fessi…”. Intende riferirsi alla trattativa in corso con il Fondo Monetario per un ulteriore indebitamento e indirettamente sollecitarlo. Confermando -quindi- che non è tutt’oro quello che riluce. Nondimeno c’è chi speculando al volo sulle contorte ed elusive 120 pagine del recente Ex-post evaluation del Fondo Monetario Internazionale, una storia recente dei crediti concessi all’Argentina, ne ha tratto ingiustificato motivo per associarsi alla santificazione di Milei. Facendo anche qualche pesante confusione sui numeri, pur ben noti. Vale qui ricordare l’avvertenza fatta per tempo da Karl Polanyi (La Grande Trasformazione, 1944) che comunque il mercato stesso, anche quello finanziario “è una macchina, una creazione artificiale che distrugge regole per imporne altre…”. E che gran parte (44 miliardi di usd) del certamente cospicuo e mai del tutto chiarito debito argentino con l’FMI è stato contratto sul finire del suo mandato dall’allora presidente conservatore Mauricio Macri (2015-2019).
L’accordo fu poi sospeso per le inadempienze del successivo governo peronista di Alberto Fernandez (2019-23), che in ogni caso pagò gli interessi (“quelli sono sacri”, venne osservato allora) e giustificò con le ulteriori e pesanti difficoltà economiche provocate dall’epidemia di COVID la mancata riduzione del deficit di bilancio concordata dal predecessore. A comunicarlo ufficialmente il 10 gennaio scorso è stato un testimone irrefutabile: Luis Caputo, l’attuale ministro dell’Economia di Milei, che ricopriva il medesimo incarico con Mauricio Macri. La stessa persona, quindi, che per la parte che gli competeva ha sottoscritto il prestito contrattato 6 anni addietro e pochi giorni fa ne ha annunciato la riapertura in vista di un nuovo ampliamento del debito (altri 11 miliardi di usd).