Poscia più che l’amor potè l’onore. La Fedra di Euripide a Siracusa commuove e avvince

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Tra le eroine che i tragici greci ci hanno tramandato “Fedra” è tra le più contorte.

A dar voce, corpo, immagine e suono alla tragedia di Euripide, 428 a.C., in questa edizione della 59°stagione delle rappresentazioni classiche a Siracusa, è Paul Curran, regista d’opera scozzese, che invocando la posizione centrale dell’Amore e delle sue contraddizioni le ha conferito una chiara impronta di contemporaneità, senza trascurare la matrice classica, affidando alla scenografia, ai costumi, al testo, alle musiche, alla recitazione, alle coreografie, tutti pregevoli, questa doppia natura sapientemente miscelata. Con un equilibrio ben sostenuto e articolato delle due dimensioni contrapposte, quella temporale e quella sociale, solidamente orchestrate, senza trascurare gli aspetti spettacolari, Curran ha costruito una drammaturgia coesa e di notevole impatto, irrorata da un cast ineccepibile e da una scenografia d’effetto, dispiegata nel generoso spazio del Teatro greco, dove l’imponente assetto scenografico dell’opera riassume le due anime ambigue del dramma. Una moderna impalcatura, ambiguamente in rovina o in costruzione, sorregge al centro una monumentale e bianca testa, dapprima velata, poi denudata, che sarà la grande protagonista dello scenario, su cui verranno proiettati spettacolari video e raffinati effetti di luce. I due unici elementi in scena dialogano mirabilmente tra loro in un efficace unicum di forte impatto, dove Passato e Presente trovano una reciproca esaltazione.

Nel Prologo appare Afrodite leggiadramente drappeggiata in bianco e oro, simbolo dell’Eros incontrollato, che introduce la vicenda agli spettatori, svelando i suoi crudeli piani e saturando l’aria di un’attesa inquietante. Decisa a mostrare a Ippolito, figlio illegittimo di Teseo, che la trascura, la potenza dell’Amore nella sua doppia veste generativa e distruttiva, la Dea si servirà di Fedra, la matrigna, vittima inconsapevole, facendola innamorare del fanciullo. La donna irrompe in scena in abito da sera giallo acido tra le donne in pepli del palazzo, in preda alla misteriosa malattia che la strazia da giorni. Personaggio centrale, nell’interpretazione asciutta di Alessandra Salamida, in lei si concentrano il dolore e il tormento della furia erotica scandalosa e necessaria, inappagata e nascosta a cui Afrodite cinicamente l’ha consegnata per soddisfare i suoi progetti, trafiggendola con i dardi di un amore illecito, avviluppata inesorabilmente nei lacci di una contraddittoria passione che la disonora e che la Dea le ha generato nel cuore e nella carne per vendicarsi del casto rampollo, seguace della casta Artemide, simbolo del controllo delle passioni. Il giovinetto, convincente nell’acerba e scattante interpretazione di Riccardo Livermore, disdegna di onorare la dea dell’Amore, intrattenendosi in cacce e danze, tra coroncine di fiori e canti, in compagnia di ornati e variopinti giovinetti danzanti su musiche di ispirazione psichedelica anni ’60, inguainato in giacca bianca e lustrini a petto nudo. Dibattendosi tra l’amore e l’onore, la regina di Trezene, sposa di Teseo, non riesce a dominare il dissidio, travolta dal fiume in piena dell’Eros e dalla vergogna. Vuole morire. Stretta tra il silenzio e la parola, cade nell’incalzante indagine dell’amorevole Nutrice, una eccellente Gaia Aprea in un’austera mise blu notte, quasi un presagio del lutto, che sollecitamente, conosciuta la causa del male della sua “bambina” e la sua volontà di morte, sperando di salvarla, si farà portavoce dell’amore delirante della matrigna, suscitando lo sdegnoso rifiuto di Ippolito e la disperazione di Fedra che prima di impiccarsi, per salvare l’onore compromesso, lascia una lettera calunniatrice in cui rovescia la situazione addossando al figliastro lo stupro di cui sarebbe stata vittima.

L’ira di Teseo, un misurato e coinvolgente Alessandro Albertin in ruolo, ritornato in patria, devastato dal suicidio e dalle accuse della sposa, si abbatte sull’innocente figlio, che invano cerca di difendere il suo onore. In una delle scene più toccanti del dramma, Ippolito, triste e disperato, sarà ingiustamente cacciato in esilio dal padre furente che invoca su di lui la maledizione di una morte orrenda. Ferito a morte da un mostro inviato da Poseidone, così narra a Teseo il Nunzio sopraggiunto a palazzo, dilaniato nelle carni e nel cuore, l’infelice, trasportato alla reggia da operai in casco giallo e torce, spira tra le braccia del padre straziato dal dolore e dal rimorso, debitamente informato da Artemide sulla verità dei fatti. La Pietà in versione maschile è l’ultimo, struggente quadro su cui si spengono i riflettori di questo dramma immortale. Eros e Thanatos abbracciati ricordano ai mortali spettatori la straordinaria potenza di un sentimento che ci possiede dalla notte dei tempi.

FEDRA

Ippolito portatore di corone

di Euripide

regia di Paul Curran

AFRODITE | Ilaria Genatiempo
IPPOLITO | Riccardo Livermore
UN SERVO | Sergio Mancinelli
NUTRICE| Gaia Aprea
FEDRA | Alessandra Salamida
TESEO | Alessandro Albertin
MESSAGGERO | Marcello Gravina
ARTEMIDE | Giovanna Di Rauso
CORIFEE | Simonetta Cartia, Giada Lorusso, Elena Polic Greco, Maria Grazia Solano
CORO DI DONNE DI TREZENE | Valentina Corrao, Aurora Miriam Scala, Maddalena Serratore, Giulia Valentin, Alba Sofia Vella

Accademia d’Arte del Dramma Antico
CORO
Caterina Alinari, Allegra Azzurro, Andrea Bassoli, Claudia Bellia, Carla Bongiovanni, Clara Borghesi, Davide Carella, Carlotta Ceci, Federica Clementi, Alessandra Cosentino, Sara De Lauretis, Ludovica Garofani, Enrica Graziano, Gemma Lapi, Zoe Laudani, Salvatore Mancuso, Carlo Marrubini Bouland, Arianna Martinelli, Riccardo Massone, Linda Morando, Giuseppe Oricchio, Davide Pandalone, Carloandrea Pecori Donizetti, Alice Pennino, Francesco Ruggiero, Daniele Sardelli, Flavio Tomasello, Elisa Zucchetti.

Al Teatro Greco di Siracusa fino al 28 giugno

“Poscia più che l’amor potè l’onore”. La Fedra di Euripide a Siracusa commuove e avvince


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