“Poor things” e lo squarcio nel velo di Maya

0 0

È ormai presente da qualche mese nelle sale di tutta Italia “Povere creature” (Poor things) il nuovo capolavoro del regista greco Yorgos Lanthimos ispirato all’omonimo romanzo di Alasdair Gray (1992).
Il film si presenta, anche grazie alla prodigiosa interpretazione della Stone nei panni della protagonista-eroina Bella Baxter, come un vero e proprio manifesto di libertà e autocoscienza dell’individuo nei confronti della società toccando i temi del risveglio sociale: un viaggio psicofisico alla ri-scoperta della vita.

Bella è infatti una giovane donna incinta appena morta suicida quando viene trovata dal rinomato scienziato Godwin Baxter (Willem Dafoe), il quale, constatando ancora la presenza di energia nel suo corpo, decide di sfidare la scienza riportandola in vita grazie al trapianto del cervello del feto nella testa della ragazza.
Sono proprio i primi passi, le prime parole, le prime intuizioni di Bella a costituire la parte iniziale del film, scandita da un lento susseguirsi di scene in bianco e nero slegate tra loro, girate quasi unicamente all’interno della maestosa e singolare villa del dr. Baxter.
Il tenero e ingenuo modo di Bella di vedere le cose accompagnato dalla sua goffa e instabile camminata, paragonabile a quella di un bambino, viene sempre più a scemare dall’incontro con Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo) arrogante libertino affamato di donne e dei piaceri materiali che la coinvolgerà nel suo travolgente viaggio per il mondo portandola, per la prima volta, ad allontanarsi dal protettivo nido paterno.

Con il rapportarsi di Bella al mondo esterno, le scene prendono vita dipingendosi dei colori vivaci dell’universo, al confine tra il fantastico e il reale, creato dall’immaginazione di Lanthimos.

Giorno dopo giorno i capelli di Bella crescono e con loro si afferma in lei una sempre più forte autocoscienza: l’insaziabile brama di assaporare qualsiasi tipo di esperienza, che la porta persino a prostituirsi e a sfidare i limiti della propria libido, ha il sopravvento su ogni forma di regola e convenzione sociale che possa in qualche modo limitare i suoi istinti, ma sarà proprio tale sete di conoscenza ad aprirle gli occhi e a rivelarle una realtà totalmente disillusa.

Le città visitate da Bella, Lisbona, Alessandria, Parigi, segnano le tappe di un percorso di evoluzione e rivoluzione interiore per il quale sarebbe riduttivo limitarsi a parlare di emancipazione femminile. Obiettivo concreto del regista è, infatti, quello di toccare il vasto tema della diversità e della liberazione dell’essere umano dalle “catene sociali”indipendentemente dal suo genere.
La paura di non essere mai abbastanza adatto o rispettoso del “buon senso comune”.
Ma è proprio rimanendo succubi di questa insicurezza, ci insegna Bella, che si rischia di finire intrappolati in una vita che oscilla, come un pendolo schopeneueriano, tra il dolore e l’apatia.

Al ritorno a Londra della protagonista corrisponde anche la conclusione del processo di crescita di Bella: è una donna forte e consapevole, finalmente capace di esprimere liberamente il proprio essere senza la paura del giudizio altrui.
È proprio questa sua nuova emancipazione a mettere in crisi i rapporti con le diverse figure maschili: in primis con Wedderburn, il quale, solito essere pieno di sé e delle proprie doti sessuali e quindi incapace di gestire la disinibizione e l’intraprendenza della donna, arriva a toccare l’orlo della pazzia.
Avviene invece il contrario con Max McCandles, giovane apprendista di Godwin, che, rimanendo ammaliato dall’affermata personalità di Bella, asseconda e incoraggia a qualsiasi costo la sua inarrestabile sete di conoscenza.

Tra inquadrature che distorcono la realtà e la presenza di elementi e personaggi surreali, Lanthimos dà vita al suo film rimanendo costantemente in bilico tra l’illusione e la realtà in un rapporto antitetico di temi ed emozioni.
Ogni scena assume una dimensione soggettiva dando la possibilità al pubblico di viaggiare e osservare con occhio critico il mondo assieme alla protagonista.

Portando il pubblico ad empatizzare con Bella, provare la sua sofferenza, il suo desiderio di ribellione, la sua voglia di reagire e condannare le ingiustizie, di lottare coraggiosamente per l’affermazione di sé stessi e contro l’emarginazione, secondo il regista, è possibile squarciare finalmente quel velo di Maya che quotidianamente offusca la vista e impedisce di vedere le cose come stanno realmente.
Con “Poor things” il cinema assume un vero e proprio valore salvifico, dando vita a quello che può essere definito un “risveglio collettivo”.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21