“La sala professori”, di Ilker Catak, Germania, 2024

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Con Leonie Benesch, Leonard Stettnisch, Michael Klammer

Carla Nowak, una bravissima Leonie Benesch, è una insegnante che cerca di venire a capo di una serie di furti perpetrati nella sua scuola. Sembra essere vicina alla soluzione della gravosa questione quando essa stessa ne rimane vittima. Kammerspiel “scolastico”, che conta trascorsi gloriosi, come quelli di Vigo, Sjoberg, Truffaut, Weir, Cantet, il film di Catak, dal buon ritmo e governato da una messinscena impeccabile sconta, purtroppo, notevoli incongruenze narrative dovute alla mancanza di una chiara idea di fondo da sviluppare. E’ un film sul Potere asssoluto? No. E’ un film sulla Verità impossibile da ricercare? No. Tutte le soluzioni sono date fin da subito. Nowak ha sbagliato, e continua a sbagliare, ingenerando una serie di “equivoci” caratteristici degli universi concentrazionari. Innanzitutto, il classico “tutti contro tutti”. Docenti contro docenti, studenti contro docenti, famiglie contro docenti e viceversa, preside contro tutti. A farne le spese è un ragazzino, allievo di Carla, figlio della presunta ladra, tra l’altro pure amministrativa della stessa scuola. Catak impegna la cinepresa nel disegnare al meglio, soprattutto nella prima parte, questo smarrimento generale, impossibile da risolvere. Si sofferma, con grande maestria, sul volto perplesso, sgomento e pentito della giovane insegnante, come pure sulla tremenda sofferenza del giovanissimo Oscar, vilipeso e difeso da gruppi opposti di suoi compagni di classe. In tutto questo bailamme non si salva nessuno. Neanche i giovani studenti che attraverso il loro giornalino d’istituto attaccano con i vecchi e deprecabili metodi del Quarto potere la malcapitata docente, già messasi nei guai da sola. Il regista tedesco, purtroppo, non ha il coraggio di andare oltre i singoli drammi innescati dai furti, limitandosi a “bacchettare” una volta i docenti, una volta gli studenti, una volta i genitori, per ribaltare il tutto qualche sequenza dopo manifestando ragioni contrarie altrettanto valide per gli stessi protagonisti. Il racconto dell’impossibilità di venire a capo di una verità assoluta e di una realtà che sarà sempre indecifrabile non avrebbe, certamente, contemplato un finale così banale, con il ragazzino portato via di peso dalla polizia, perché disobbediente alla temporanea espulsione inflittagli dalla scuola, e ironicamente trionfante sulla stessa, seduto su una poltrona come un Re dalla vittoria finale. Alla fine, la doppiezza di tutte le posizioni in campo rimane lì, con la pretesa di aver dato una lezioncina di democrazia ai docenti così pretenziosi e agli studenti che si preparano nel modo peggiore a diventare adulti, fatto salvo il povero Oscar che cerca di farsi giustizia da solo aggredendo la sua docente contrita e buttando nel fiume la presunta prova assoluta che tale non è. Ma lui, poverino, è così piccolo e non può capire le malefatte degli adulti o, forse, le ha capite molto bene…Insomma, alla fine, la confusione nella testa del regista e di conseguenza di noi spettatori è tale da consigliare al buon Catak di rivedersi un film come “Il signore delle mosche” di Peter Brook, da William Golding, anche quello “giovanile” e concentrazionario, seppure all’aperto, e con ruoli altrettanto progressivamente dicotomici nell’ analisi dei rapporti di forza, ma assolutamente chiari, per rendersi conto che una buona e coerente regia ha bisogno, innanzitutto, di una certa idea dell’Uomo e del mondo da esso costruito. Un film è sempre rappresentazione della realtà e per questo inevitabilmente metafora di qualcos’altro o, addirittura, di tutto. L’importante è sapere prima cosa voler dire, chiaramente.


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