“4 5 6” e la brutalità della famiglia secondo Torre

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di Elena D’Alessandri e Claudio Filippello


A 13 anni di distanza dal debutto, “4 5 6”, scritto e diretto da Mattia Torre, prematuramente scomparso 5 anni fa, è tornato in scena al Teatro Vascello, dove resterà fino a domenica 3 marzo, con gli stessi tre storici attori: Massimo De Lorenzo, Carlo De Ruggieri e Cristina Pellegrino, cui si è aggiunto Giordano Agrusta.

Di Mattia Torre continueremo a sentire la mancanza, del suo linguaggio ironico e pungente. E’ questa la sensazione che si prova dopo aver visto ‘4 5 6’ da lui scritto e diretto, riportato in scena dagli stessi 3 attori con cui lo spettacolo aveva debuttato nel 2011, in scena al Teatro Vascello fino al prossimo 3 marzo.

La famiglia disfunzionale al centro della narrazione vive in un luogo sperduto e imprecisato, verosimilmente nel Sud Italia. Madre, padre e figlio, ignoranti, diffidenti e aggressivi abitano la propria dimensione d’isolamento priva di contatti con l’esterno; ‘la città’ ricorre spesso nei dialoghi come luogo dal quale stare il più possibile lontano.

L’ambientazione è umile, quella di una spoglia camera da pranzo sulla quale pende una ‘salama’ e un sugo, eredità della nonna, continua ad essere alimentato e a sobbollire. Sembra quasi un elemento di dolcezza quello del sugo, se non fosse che la necessità della sua continua alimentazione costringe tutti a restare lì, impossibilitati ad andare via nonostante le dichiarate ambizioni.

I tre membri della famiglia continuano a lanciarsi invettive nell’attesa di un ospite che – a loro dire – potrà cambiargli la vita. Il padre è tirannico e dispotico, ossessionato dalla preparazione del pranzo per l’ospite che, come un deus ex machina, gli cambierà la vita; al contempo tiene ‘prigioniero’ il figlio che invece agognerebbe la detestata città. La madre è angustiata dalla perdita di un tegame, unico elemento che sembra attribuire senso alla sua esistenza. Il tutto condito da un improbabile linguaggio sconosciuto, forse un ignoto dialetto.

Quello che Torre tratteggia è un mondo privo di valori e di morale, un ‘homo homini lupus’ in cui tutti sono contro tutti, in particolare all’interno della famiglia, culla di rabbia e malcontento. L’atteso ospite dovrebbe sancire una tregua al livore dei tre. Ma sarà qualcosa che non durerà. Difatti il titolo ‘4 5 6‘ si riferisce ai posti al cimitero che il padre potrà accaparrarsi dal ‘misterioso ospite’ che altri non è che un funzionario comunale.

Il testo nasce dall’idea che l’Italia non sia un Paese, bensì una convenzione che in assenza di una unità culturale, morale e politica, che faccia da collante tra i suoi abitanti, faccia di loro dei nemici: gli uni contro gli altri. Individui che vivono nella precarietà e nel timore proprio in ragione dell’assenza di aspirazioni comuni.

Un conflitto questo che nasce e si riverbera proprio nella famiglia, germe disgregante della società, fattore primigenio dell’arretratezza culturale del Paese. Inutile sottolineare la grande performance artistica del trio in scena – nonché quello del fantomatico ospite, Agrusta.

Cinico, feroce e irrinunciabile.


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