Un bavaglio sempre più stretto. Come stiamo dopo l’emendamento Costa

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È legge l’emendamento Costa. Tra sei mesi stop alla pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare. Leso il diritto di informare ed essere informati.
Davvero particolare l’idea di garantismo espressa da questa maggioranza con il sostegno di esponenti di partiti non al governo. Rendere sempre più difficile fare le indagini, vista la stretta su strumenti importantissimi come le intercettazioni, e rendere sempre più difficile raccontare indagini e inchieste. Quest’intento è davvero chiaro, basta unire i punti dei diversi provvedimenti che sono stati presi nel primo anno dell’era Meloni. Ultima arrivata è la norma che impedirà la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare.

Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire cosa accade poco prima delle vacanze di Natale. Alla Camera si esamina il disegno di legge comunitaria, il deputato di Azione Enrico Costa (di professione avvocato) presenta un emendamento per delegare il governo a riformare il codice di procedura penale, introducendovi il divieto di “pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare fino al termine dell’udienza preliminare”, o fino alla fine delle indagini dove questa non è prevista.

Emendamento presentato da un parlamentare dell’opposizione, passato con il favore della maggioranza. A nulla sono valse le proteste dei giornalisti che vedono limitato il proprio diritto di informare, e quelle di cittadini e cittadine che sanno che avranno meno possibilità di essere informati. Due giorni fa, con 96 voti favorevoli e 56 contrari, anche il Senato ha varato, e in via definita, la norma bavaglio.
“L’emendamento Costa ha un obiettivo evidente”, sostiene Valentina Errante, responsabile della cronaca giudiziaria del Messaggero: “Limitare la libertà di stampa”. In realtà, questo è solo l’ultimo tassello di una serie di provvedimenti che hanno come obiettivo quello di ridurre le notizie pubblicabili. “Un altro colpo alla nostra possibilità di fare informazione – aggiunge la giornalista – è arrivato un anno fa con la legge Cartabia sulla presunzione di innocenza, che sostanzialmente impedisce ai procuratori di dare informazioni sulle indagini. Il mio modo di lavorare è cambiato allora e oggi le difficoltà aumentano”.
La Rete No Bavaglio ha lanciato una raccolta di firme insieme alla Federazione nazionale stampa italiana e sostenuta da moltissimi associazioni, tra cui la Cgil con la firma del segretario generale Maurizio Landini, per chiedere al presidente della Repubblica di non firmare la norma. Questa mattina, lunedì 19 febbraio, sulla piattaforma Change.org se ne contavano 40.149. E la raccolta continua.
La segretaria della Fnsi Alessandra Costante è preoccupata: “La norma Costa, dietro un velo di finto garantismo, farà calare il silenzio sul diritto dei cittadini a essere pienamente informati. Pezzo dopo pezzo, questa politica sta smontando l’articolo 21 della Costituzione e la possibilità per i cittadini di avere coscienza e di formarsi una propria opinione. L’Europa chiede tante cose all’Italia: misure contro le querele bavaglio, una governance Rai indipendente, retribuzioni adeguate per i giornalisti, eppure di tutte queste cose non c’è traccia nelle battaglie garantiste di politici che difendono il potere”.

Errante ritiene che quando la norma entrerà in vigore, e non sarà subito visto che il governo ha sei mesi di tempo per varare il decreto delegato che la attuerà, i cronisti cercheranno comunque di avere le ordinanze e raccontare, sintetizzandone i contenuti, di dare notizia delle ragioni delle misure cautelari.

“Il modo per informare tenteremo di trovarlo”, aggiunge la giornalista: “La norma, ad esempio, vieta la pubblicazione delle ordinanze, ma non la richiesta del pubblico ministero. Detto questo, se davvero dovesse entrare in vigore così, credo che il numero di querele salirebbe in modo esponenziale. In ogni caso la situazione non è bella, e con la stretta sulle intercettazioni la situazione rischia di peggiorare ulteriormente”.

“No, noi non ci stiamo, nessuno ridurrà mai al silenzio Articolo21. Siamo nati per difendere il pensiero critico e continueremo a farlo”, scrive Giuseppe Giulietti, sottolineando che se questa legge fosse stata in vigore non avremmo saputo nulla della circostanza della morte di Stefano Cucchi e dei pestaggi nel carcere di Reggio Emilia.

“Per quanto ci riguarda continueremo a dare ogni notizia che abbia i requisiti della rilevanza sociale e del pubblico interesse”, conclude Giulietti: “La nostra sarà una forma di ‘obbedienza civile’ contro una norma ‘incivile’. Allo stesso modo daremo vita a un comitato di giuristi, costituzionalisti e legali per arrivare immediatamente alla possibilità di denunciare la norma alla Corte costituzionale e alla giustizia europea”.

Sono moltissimi i giornalisti e le giornaliste, oltre a decine di associazioni e movimenti, che hanno sottoscritto l’appello al presidente Mattarella contro la legge Costa. Tra questi, alcuni tra i più impegnati nel giornalismo di inchiesta: Lirio Abbate, Sandro Ruotolo, Riccardo Iacona, Sigfrido Ranucci, Corrado Formigli, Fiorenza Sarzanini e Carlo Bonini.

E anche l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti della Rai, sostiene: “Falso anche che sia stata l’Europa a chiedere questa legge, cosi come per il cosiddetto decreto Cartabia che limita le comunicazioni delle procure alla stampa. Europa che, invece, ha chiesto più volte misure concrete contro le querele-bavaglio e una legge sulla governance della Rai che la renda indipendente dal potere politico, come contenuto nel Media Freedom Act appena approvato”.

(da https://www.collettiva.it/)


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