Bruno Segre, una vita di lotta

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Dell’immensa vita di lotta di Bruno Segre, voglio evocare un episodio, forse il primo che lo rese celebre a livello nazionale, un episodio a me molto caro perché ispirò la mia stessa scelta: la difesa di Pietro Pinna, obiettore di coscienza al servizio militare, in una Italia, quella del 1949, nella quale una simile disubbidienza era considerata più di un reato, un vero e proprio tradimento. Pietro Pinna, che era stato rinchiuso nel carcere militare di Torino, arrivò a Bruno Segre grazie ad Aldo Capitini, che li mise in contatto, fatto tutt’altro che laterale in questa vicenda: Pinna aveva scelto la disubbidienza proprio grazie alle lezioni tenute da Capitini. Il resto è storia.
Cosa mi sollecita ancora oggi di questa vicenda? Un certo modo di intendere la democrazia “ordinata” dalla Costituzione anti fascista del ’48, un modo che doveva coniugare il “culto per la legalità” (di cui parlò Segre proprio in una intervista rilasciata a L’Incontro nel 2021), quel culto che lo spinse a scegliere la professione dell’avvocato, con la “disubbidienza civile”. Come possono convivere virtuosamente “legalità” e “disubbidienza”? Assumendo la legalità democratica come un processo in divenire, con una stella polare e cioè la progressiva emancipazione dalla paura e dal bisogno di quante più persone possibili, all’interno della cornice inviolabile della Costituzione. In questo modo di intendere la democrazia, la disubbidienza non soltanto non può essere criminalizzata, ma deve essere accolta come fattore normale della evoluzione dei diritti e dei doveri. Ecco perché, per esempio, bisogna opporsi oggi in ogni modo alla legge sui così detti “eco-vandali”, ed ecco perché bisogna opporsi con altrettanta forza ai “bavagli” che mortificano la libertà di stampa, che della disubbidienza civile è naturale alleata.

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