Se il caso Saviano è lo specchio dello stato di salute dell’informazione italiana

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“Se prendi un rospo, lo metti in una pentola con l’acqua e lo porti sul fuoco, osserverai una cosa interessante: il rospo si adatta alla temperatura dell’acqua, rimane dentro e continua ad adattarsi all’aumento di temperatura… Però quando l’acqua arriva al punto di bollire il rospo vorrebbe saltare fuori dalla pentola ma non riesce perché è troppo indebolito e stanco a causa degli sforzi che ha fatto per adattarsi alla temperatura… Alcuni direbbero che ciò che ha ucciso il rospo è stata l’acqua bollente… ciò che ha ucciso il rospo invece è stata la sua incapacità di decidere quando saltare fuori. Perciò smettila di adattarti a situazioni sbagliate e tante altre faccende che ti “scaldano”. Se continui ad adattarti corri il rischio di morire dentro.
Salta fuori finché sei in tempo”.
Questa arguta riflessione del linguista e teorico della comunicazione Noam Chomsky fotografa molto bene lo stato di salute dell’informazione e del pensiero critico oggi sotto scacco in Italia. L’ennesima prova (solo ultima in ordine di tempo) è la condanna per diffamazione della premier Giorgia Meloni inflitta dal tribunale di Roma allo scrittore Roberto Saviano. Certo, una condanna simbolica e minima (mille euro) la cui economicità stride rispetto all’onorabilità di una politica onusta di responsabilità. Ma è il principio che va contestato anche perché la sedia della querelante è rimasta desolatamente vuota durante tutte le udienze. Una querela bavaglio (con la richiesta di 75 mila euro di risarcimento danni) intentata perché lo scrittore nel corso di una trasmissione televisiva nel 2020 bollò come “bastardi” quanti si opponevano ai salvataggi in mare, in particolare l’allora parlamentare di Fratelli d’Italia e Matteo Salvini. Magari è discutibile l’uso del termine maturato in un contesto di serrata critica per l’annegamento di un bambino ma resta il tentativo di bloccare la critica, comunemente ritenuta il sale della democrazia.
Fino ad ora non abbiamo letto o ascoltato reazioni proporzionali alla portata della condanna, ultimo grano di un lungo rosario di oscuramento del pensiero critico. Sottovalutazione, indifferenza, ineluttabile resa nel fronteggiare la “nuova narrazione” sono tutti elementi che minano il futuro prossimo dei principi costituzionali. Prima ancora della libertà di espressione per i giornalisti esiste infatti la libertà dei lettori (ovvero dei cittadini) di essere informati. Roberto Saviano forse non riscuote particolare fortuna tra chi lo accusa di essersi “arricchito” con il racconto del malaffare e cavalcare l’onda del successo. Accuse rintuzzate dallo stesso scrittore, che vive sotto scorta dal 2006 per le minacce della camorra.

“Che c’azzecca?” si sarebbe chiesto qualche anno fa il pubblico ministero più famoso d’Italia. Non si può insomma ragionare secondo lo schema simpatia/antipatia, non ci si può dire rispettosi delle leggi a giorni alterni, considerare la lunga scia di intimidazioni ai giornalisti ed a “chi dice no” alla stregua di una normale dialettica politica. E’ allarmante che sulla situazione in cui versa l’informazione in Italia i più preoccupati sono gli organismi giornalistici internazionali: il paragone è con il codice rosso vigente nelle democrature europee.
L’ adattamento all’aumento della temperatura dell’acqua (di cui parlava Noam Chomsky) può regalare un illusorio e passeggero benessere prima che l’ebollizione ponga fine ad ogni possibilità di salto. Ed allora non vorrei essere nei panni di Ettore Petrolini che vedendo avvicinarsi al suo capezzale il prete con l’olio santo per l’estrema unzione sbottò: “E mo’ si che so’ fritto!”.

 

 


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