Perché Genova ci parla ancora

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Anche quest’anno ci ritroviamo in piazza Alimonda, come accade ormai da ventun anni, in ricordo della tragedia di Carlo Giuliani ma soprattutto per sentirci ancora una comunità, per avvertire quella passione che altrove non esiste più, per credere in qualcosa nella stagione del nulla e del disincanto collettivo. Per questo Genova, ventidue anni dopo i fatti del G8, ci parla ancora. Parla ai nostri sogni traditi, alle nostre speranze perdute, ai ricordi di chi c’era e al desiderio di conoscere e capire di chi non c’era ma si sente comunque parte di questa collettività. Non a caso, e sia detto senza alcun intento polemico, alle assemblee di partiti, sindacati e corpi intermedi in generale i giovani non si vedono quasi mai. Da queste parti, invece, ce ne sono sempre tanti. A Genova, infatti, una generazione è stata sconfitta, aggredita, travolta dalla violenza e dall’odio. E proprio qui la generazione successiva ritrova il senso del proprio stare insieme, unendo battaglie che dovrebbero procedere di pari passo: dalle donne ai migranti, senza dimenticare i diritti sociali e civili, l’ambiente e tutti gli elementi indispensabili per costruire un’alternativa all’attuale egemonia della destra.
Il ricordo di Carlo, doveroso e giusto, non esaurisce la sfida. In quella piazza, incastonata nel cuore di una città ancora capace di custodire la memoria del passato, di vivere il presente e di immaginare il futuro, si ritrova una moltitudine desiderosa di pensare altrimenti, di non arrendersi, di coltivare quanto meno l’illusione che possa esistere un domani diverso e migliore.
Non c’è rancore. Rabbia sì, tanta, perché questi due decenni ci hanno impoverito in tutti i sensi, privato di luoghi e punti di riferimento. La disperazione, tuttavia, non appartiene a questa gente, non fa parte del suo DNA e del suo modo di intendere la vita.
Essere a Genova in questi giorni di luglio significa voler credere ancora, con tutte le forze, che un altro mondo sia possibile, anzi indispensabile, e che ci si debba battere con coraggio e generosità affinché almeno qualcosa cambi, mentre il mondo è afflitto da ogni sorta di violenza e da quei conflitti senza fine e senza esclusione di colpi di cui si parlava, profeticamente, sotto i tendoni del Carlini nei giorni che precedettero la mattanza.
Genova, almeno per me, contiene una miriade di storie e la magia di un universo che si ritrova con passione, non fosse altro che per immaginare, almeno una volta all’anno, che si possano condividere ideali e valori in un contesto caratterizzato dall’armonia e dal rispetto reciproco.
In questa città, che, come detto, ha vissuto innumerevoli tragedie e non ha mai chinato la testa, né di fronte al nazi-fascismo né di fronte alla prepotenza di un certo Stato, che si trattasse di Tambroni o dei tonfa del 2001, si respira quello spirito partigiano e resistenziale che è innanzitutto un modo di concepire la vita e difendere la Costituzione. Teniamocela stretta questa tensione etica, perché ci servirà eccome nei prossimi mesi, quando verrà l’inverno, piazza Alimonda sarà lontana e bisognerà aspettare il prossimo 20 luglio per guardarsi nuovamente negli occhi. Teniamocela stretta perché l’assalto alla Carta, al contrario, non si fermerà nemmeno per un istante.
Un pensiero, in conclusione, va ad Andrea Purgatori, che purtroppo ci ha detto addio a soli settant’anni. Nell’estate del 2021 realizzò una magnifica puntata di Atlantide, in occasione del ventennale dell’evento che ha segnato due generazioni e mutato per sempre il corso della nostra storia. In quella trasmissione si metteva chiaramente in risalto la differenza fra il prima e il dopo, fra il come eravamo e il come siamo diventati. E Andrea raccontava ogni vicenda, dall’omicidio di Carlo all’inferno della Diaz e di Bolzaneto, con rara precisione ed empatia. Questa, del resto, era la sua cifra professionale, qualunque fosse l’argomento. Pertanto, non suoni retorico se scriviamo che abbiamo perso un fuoriclasse e, soprattutto, un amico. Non solo nostro, ma della verità, della giustizia e della dignità umana in ogni circostanza.

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