Il golpe in Niger scuote anche Putin

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Il Sahel è l’area più inquieta dell’Africa occidentale, al centro di traffici illeciti (armi, droga proveniente dall’America Latina, contrabbando) e soprattutto della tratta dei migranti che puntano verso il Mediterraneo. Qui i jihidisti tengono in scacco i governi: la loro propaganda contro l’occidente (ed in particolare la Francia) trova terreno fertile tra i giovani privi di un presente, di lavoro e prospettive. L’Isis dopo lo sfaldamento in Siria ed Iraq ha messo qui salde radici, complici anche la frammentazione del territorio ed una governance tribale che fa ipotizzare ai terroristi islamisti la nascita di un nuovo califfato proprio in questa regione.

La Francia (che nel Sahel ha prosperato anche dopo la fine formale del colonialismo appoggiando governi fantoccio favorevoli alle istanze di Parigi) mostra il fiatone mentre l’esibizione muscolare è sempre più flebile. Tanto che Macron dopo le fallimentari missioni militari ha dovuto rivedere i suoi piani avviando un nuovo approccio con il Sahel.

Il colpo di stato in Niger dello scorso 26 luglio arriva dopo quelli in Mali (settembre 2021, dopo un primo golpe dell’agosto 2020) ed in Burkina Faso (settembre ’22). In Niger (come in Mali) il putsch ha una chiara connotazione filorussa. Nelle strade della capitale la folla ha manifestato dinanzi all’ambasciata francese inneggiando a Putin e sfoggiando bandiere russe. Nel sottosuolo del Niger è custodito il 7% delle riserve mondiali di uranio, quanto basta a Parigi per alimentare le proprie centrali di energia atomica. E’ una sfida aperta anche all’Unione Europea che 5 anni fa varò una missione militare per l’addestramento delle forze militari locali. Anche l’Italia è parte della missione con 350 soldati, destinati negli accordi anche ad “accompagnare” in combattimento i soldati governativi contro i terroristi jihadisti, anche se fino ad oggi non ci sono informazioni sulla discesa in campo dei nostri uomini. La missione (varata dal governo Gentiloni nel 2017) fu varata per garantire all’Italia una influenza su quell’area, per fermare il traffico di migranti e contenere l’espansionismo russo. Oggi è tutto da rivedere, alla luce dei veloci cambiamenti geopolitici degli ultimi anni. L’ Ecowas (la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale che riunisce 15 nazioni) ha posto un ultimatum ai golpisti: reinsediare il legittimo presidente La veletto democraticamente, altrimenti non si esclude un intervento armato a fianco delle sanzioni già approvate. La via negoziale appare in salita ed analoghi interventi militari si sono sempre dimostrati armi a doppio taglio, se non addirittura un boomerang per i promotori con pesanti riflessi sui paesi.

Il golpe in Niger è avvenuto il giorno precedente al secondo vertice Russia-Africa di San Pietroburgo. Per Putin non è stata una marcia trionfale come era nelle sue aspettative. I 17 capi di stato presenti (su 54 nazioni del continente) hanno fatto chiaramente capire che non hanno intenzione di trasferirsi sotto l’ombrello della tutela di Mosca, dopo anni di attenzione dell’occidente. La politica di Putin, questo il messaggio, mette in discussione gli equilibri mondiali e quindi con riflessi sui paesi africani ed in particolare sulle strutture di potere che li guidano. Non è bastata a convincere i leaders la promessa del presidente russo di inviare gratuitamente il grano a 6 nazioni (tra cui alcuni alleati), anzi è stato chiesto il ripristino per il passaggio dei cereali attraverso il Mar Nero, consentendo così la commercializzazione di quelli ucraini di cui l’Africa era grande acquirente.

Al di là dell’aiuto che può arrivare dai mercenari della Wagner, sono necessari investimenti importanti per contenere la minaccia jihadista se la Russia si candidasse veramente a sostituire la Francia (come in Mali) ma anche grandi risorse per finanziare gli stati sotto assedio, visto che l’occidente ha bloccato gli aiuti. Senza dimenticare che Putin non ha rispettato gli impegni economici presi nel precedente vertice di Sochi del 2019. E tutto questo accade mentre infuria la guerra in Ucraina.

L’Africa comunque sta provando a ritagliarsi autonomi spazi di manovra politica anche se la crisi picchia duro su tutto il continente.


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