Il calendario civile che serve alla sinistra 

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Il 25 luglio non è un giorno come un altro. La caduta del fascismo, infatti, costituisce uno spartiacque nella nostra vicenda nazionale. Il problema, ma al tempo stesso la ricchezza, di un Paese come il nostro è che di date decisive ce ne sono tante, tutte indicative del sentimento nazionale dell’epoca, tutte foriere di svolte decisive, spesso tragiche ma comunque in grado di forgiare il nostro carattere e trasformare per sempre il nostro modo di essere. Ebbene, la mia speranza è che la sinistra se ne renda conto e si comporti di conseguenza. Non intendo polemizzare con nessuno, ma lo scorso 20 luglio mi è dispiaciuto non poco non vedere alcun esponente di peso del PD e di Sinistra Italiana in piazza Alimonda a Genova, nel giorno in cui si ricordava l’assassinio di Carlo Giuliani e una comunità, anche piuttosto numerosa, si ritrovava in quell’angolo del capoluogo ligure per rendere omaggio alla memoria di un ragazzo, morto in circostanze atroci, ma soprattutto per ribadire che un altro mondo è ancora possibile, anzi indispensabile. Siamo di fronte a una collettività in cammino, a un gruppo coeso, a persone che ogni anno si prendono per mano e si riuniscono da tutta Italia perché ancora ci credono e non intendono rassegnarsi allo spirito del tempo. Siamo al cospetto di un qualcosa di unico, capace di regalare emozioni che altrove, specie nelle manifestazioni politiche e sindacali, purtroppo non si percepiscono più.

Cara Elly Schlein, caro Nicola Fratoianni, caro Maurizio Landini, cara sinistra diffusa, istituzionale o movimentista che sia, non abbiate paura! È essenziale che facciate proprio il calendario civile del Paese e lo onoriate al meglio delle vostre possibilità. Per motivare la cittadinanza, specie in vista delle Europee del prossimo anno, ma il discorso è molto più ampio e deve prescindere da ogni scadenza elettorale, non si può fare a meno dalla valorizzazione dei sentimenti popolari che caratterizzano la nostra gente e ci restituiscono l’importanza e il senso del nostro stare insieme.
E allora, radunate le forze, dividetevi gli impegni in base alle possibilità di ciascuna e ciascuno e non mancate mai. D’accordo che questa è una stagione mediatica, ma non basta qualche tweet e magari un post su Facebook per recuperare quella che un tempo si sarebbe chiamata la “connessione sentimentale” col popolo.

Bisogna esserci quando si ricorda con una pastasciuttata anti-fascista la caduta del regime mussoliniano. Bisogna esserci il 2 agosto davanti alla stazione di Bologna. Bisogna ricordarsi anche di vicende solo apparentemente minori, ma in realtà importantissime, come la strage del treno Italicus a San Benedetto Val di Sambro e quella del Rapido 904 nella stessa zona, verificatesi a dieci anni l’una dall’altra. Bisogna ricordare degnamente Falcone e Borsellino ma anche Chinnici, Livatino, Placido Rizzotto e tutte le vittime della mafia e delle altre organizzazioni criminali. Bisogna essere in piazza Fontana il 12 dicembre e in piazza della Loggia il 28 maggio. 25 aprile e 2 giugno le diamo per lette, costituendo i capisaldi del nostro vivere civile. Infine il 20 luglio, e qui non basta esserci. Cara sinistra, se davvero vogliamo costruire un’alleanza che non sia solo un’aggregazione di sigle, destinata a disgregarsi nell’arco di pochi mesi, come purtroppo accadde all’Unione di Prodi, è fondamentale costruire una base valoriale comune. E allora, la mia proposta è di trasformare Genova in ciò che merita di essere: la capitale dei diritti umani e della lotta contro ogni barbarie, come ben testimonia un altro anniversario significativo del nostro calendario civile, ossia la rivolta dei camalli del 30 giugno 1960 che contribuì a cacciare il pessimo governo Tambroni, sostenuto dall’appoggio esterno del MSI e capace di concedere una città medaglia d’oro della Resistenza ai missini per celebrare un congresso che sapeva tanto di provocazione. Sarebbe bello se, a partire dal prossimo anno, a Genova avesse luogo una Festa dei diritti umani: un’occasione in cui fare incontrare Patrick Zaki e Ilaria Cucchi, le parti offese della Diaz e della Caserma di Bolzaneto e il portavoce di Amnesty Italia Riccardo Noury, la famiglia Regeni e tutte e tutti coloro che si battono per avere verità e giustizia nelle molteplici vicende in cui esse sono state negate.
Senza dimenticare i giovani e le donne iraniane in lotta contro un regime oscurantista, la generazione di Greta Thunberg che si batte contro la distruzione dell’ambiente e chi non si rassegna all’idea che il deserto africano e il Mar Mediterraneo si trasformino in un cimitero nell’indifferenza generale: migranti, clima e contrasto di tutte le disuguaglianze erano fra i temi cardine di quel famoso G8 e, come vedete, sono più attuali che mai. Quale città meglio di Genova, dunque, per realizzare questo incontro fra storie e valori che, in fondo, ci accomunano? Pensate quanto potrebbe essere contenta la nostra gente di ritrovarsi, in quei giorni, sotto la Diaz a ricordare non solo la “macelleria messicana” ma anche l’importanza della scuola, il suo ruolo cruciale nella costruzione di una società migliore e l’inaccettabilità del fatto che quello scempio sia avvenuto in un luogo per sua natura consacrato all’incontro, alla condivisione e alla solidarietà. Qualcuno obietta che la gente ha bisogno di concretezza e non di chiacchiere? Evidentemente, non è stato a Genova in questi giorni, altrimenti saprebbe bene che queste non sono chiacchiere ma ideali e presupposti irrinunciabili per comprendere il passato e progettare, di conseguenza, un avvenire diverso, all’insegna della tolleranza e del rispetto reciproco. Vale per Genova ma anche per tutti gli altri drammi della nostra storia. Perché, come recita lo slogan impresso sulla maglietta che Haidi Giuliani indossa ogni anno in occasione della commemorazione di suo figlio, “la memoria è lotta”. Ed è anche domani. Senza memoria, difatti, non esistono partiti, non esistono ideologie, non esistono punti d’incontro, luoghi di condivisione e possibilità di camminare insieme, se non per mero interesse. A destra una visione così asfittica può forse bastare, a sinistra no, e gli eventi degli ultimi trent’anni stanno lì a testimoniarlo.

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