Il testo autografo ritrovato di Tonino Guerra

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Questo foglio di carta stropicciato, che il lettore può vedere in riproduzione fotografica, è il retro di una vecchia busta commerciale su cui è stata vergato un appunto autografo di Tonino Guerra, l’amatissimo poeta di Sant’Arcangelo, conosciuto dal vasto pubblico di cinema per le sue sceneggiature con i migliori registi del suo tempo, Rosi, Antonioni, Angelopoulos, Tarkovskij, e prima di ogni altro Federico Fellini. Insieme sono stati gli autori di Amarcord, il film premio Oscar nel 1973, cinquanta anni or sono. Una impareggiabile non-storia evergreen, senza tempo e senza luoghi, la vicenda universale di ogni adolescente in quella stagione di lirico e turbolento trapasso. Un film che si può rivedere ogni giorno senza sazietà, e sembra sempre appena girato.

Il giorno del compleanno di Tonino Guerra, il 16 marzo scorso, per ricordarlo ho deciso di offrire in regalo agli amici di Facebook questo documento sconosciuto, e l’apprezzamento è stato unanime, torrenziale; in molti, non paghi della mia breve nota di accompagnamento, mi hanno scritto per conoscere maggiori dettagli, ed ecco la ragione di questo articolo, basato su una di quelle combinazioni, un po’ stravaganti, che mi capitano assai sovente.

Non ricordavo neppure più di possedere questo prezioso reperto. Era nascosto sul fondo di uno dei tanti scatoloni che, dal tempo del mio trasloco, giacciono nello studio ancora sigillati con il nastro isolante. Stavo cercando alla cieca, alla rinfusa, dei vecchi attestati di insegnamento relativi ai miei trascorsi nelle Accademie di Belle Arti, assilli burocratici in cui mi sperdo con facilità, come dentro una foresta ostili e insidiosa. Rivoltavo fogli e cartelle, sbirciandole appena, con disgusto, quando d’un tratto ho sentito al tatto una carta di consistenza diversa dalle altre. L’ho afferrata e come estratta da sotto la massa di fascicoli, finché è riapparsa questa nota di Tonino, quasi animata dal Genio della lampada. L’ho presa tra le mani sfiorandola con trepidazione e l’ho riletta sorridendo. Avevo l’impressione che Tonino mi fosse accanto, fisicamente, come quella volta a casa sua, mentre scriveva questi appunti di suo pugno. Quanti anni fa? Tanti. Lui è scomparso da undici primavere, il documento risale a forse dieci anni prima. Fellini era già uscito di scena. Maddalena, la sorella di Federico e il sindaco di Rimini Giuseppe Chicchi, mi avevano chiamato a strutturare l’associazione a lui intestata e concepita in fretta. C’era un archivio da impostare, un programma annuale, uno statuto, una previsione di costi, uno sviluppo, un piano di ricerca, un calendario di celebrazioni, un comitato da nominare, un istituto da inventare in ogni sua funzione e attività. Ed ecco che da quella stagione tumultuosa rifluiva inaspettato non un pensiero, non un ricordo, ma un oggetto concreto, un pezzo di carta riempito dalla calligrafia di Tonino. Perché? Mi stava indicando qualcosa? Le coincidenze non possono essere pura casualità come tanti pretendono, sono verosimilmente rivelazioni di un disegno non ancora interamente visibile. Benché il messaggio fosse evidentissimo, ho impiegato un po’ di tempo a metterlo a fuoco e ad associarlo alla data in arrivo: il giorno dopo ricorreva il compleanno di Tonino! Questa volta il Poeta aveva scelto di farsi vivo sotto un aspetto più corposo del solito: voleva forse che il nostro scritto privato diventasse pubblico? Simile alla Lampada di Aladino, mi sfidava ad esprimere tre desideri da realizzare in segreto? Presto lo avrei capito. Il giorno dopo non ho avuto alcuna perplessità, quel pezzo di carta apparso per magia doveva essere condiviso; avrei postato gli auguri di rito esibendolo agli amici con queste parole:

“Oggi è il compleanno di Tonino Guerra. Vorrei ricordarlo condividendo con i lettori di FB alcuni suoi appunti autografi e inediti che, quasi a guisa di un richiamo, mi si sono ripresentati spontaneamente ieri sera. Al tempo della mia direzione alla Fondazione Fellini e ancora di più negli anni successivi, con Tonino ci frequentavamo e sentivamo spesso al telefono. Una volta mentre discutevamo, a Pennabilli, su come organizzare un evento originale a Rimini per ricordare Fellini ogni anno, il 20 gennaio, in occasione della sua nascita, tra le varie proposte che ci rilanciavamo ne venne fuori una entusiasmante; che Tonino si affrettò ad annotare sul retro di una vecchia busta appoggiata sul tavolo. Mi aveva chiamato al telefono la mattina: “Vieni, ti debbo parlare di una cosa”. Ero balzato in macchina e l’avevo raggiunto a Pennabilli, lusingato come sempre quando arrivava la sua telefonata. Accadeva di prima mattina, e parlando a ruota libera come se io fossi un magnetofono in registrazione, mi trasferiva le sue considerazioni sui fatti che magari lo avevano assediato durante la notte. Le sue ‘esternazioni’ erano sempre originali, illuminanti, non soltanto perché mi regalavano un punto di vista diverso, mai scontato, ma soprattutto perché si nutrivano di una fantasia vitale, contagiosa.  La fantasia che, se non viene lasciata appassire nell’ignavia e nella trascuratezza, può veramente aiutare a risolvere con un guizzo insperato problemi che sembrano insolubili; e l’intuizione di Tonino avrebbe davvero potuto aiutare gli amministratori della città ad avviare finalmente un programma cento volte rinviato.

La voce del poeta andrebbe sempre ascoltata, è quella che riesce, al pari dell’oracolo, a donare una forma ai sentimenti che portiamo dentro di noi ma ai quali spesso non siamo in grado di dare nome né figura.

L’appunto si articola in tre passaggi essenziali, con grafia sicura, ordinata e chiara; molto scorrevole ad indicare l’intelligenza rapida, l’ispirazione fulminea dell’autore. Il progetto consisteva nell’affidare ogni anno a un celebre artista di cinema di una nazione diversa del mondo, una gran festa felliniana. Sarebbe stata veramente un’idea prodigiosa da realizzare; avrebbe portato il mondo a Rimini e Rimini nel mondo. Sprovincializzando la cultura locale e creando sempre nuove esaltanti occasioni per rileggere, con uno sguardo differente, il dovizioso deposito artistico di Federico.

“La Fondazione Fellini va benissimo, ma si muove secondo consuetudini vecchie.” Ammoniva Tonino. “È necessario cambiare strada, non serve chiamare qualcuno a parlare, indire un convegno, ripetere sempre le stesse cose. Non porta da nessuna parte. Bisogna cambiare l’orientamento.” Queste sono le frasi fedeli dell’intervista che in seguito mi rilasciò e che diligentemente pubblicai su “La Voce” ai primi di giugno del 2011.

Rimini, come è noto, preferì al solito seguire altre strade.

Ma volete sapere una cosa? Sul letto di morte, nella sua casa di Sant’Arcangelo, nella sua stanza, quando ci siamo salutati per l’ultima volta a poche ore dal trapasso, mi disse, la mano stretta nella mano: “Non rinunciare a quell’idea, pensaci tu, sarebbe meravigliosa”. La sua mente tornava ancora al progetto che era restato lettera morta.

Ecco, mostro questo raro pezzo di carta per la prima volta, non lo conosce nessuno, non l’ha visto mai nessuno: sono soltanto poche righe, eppure racchiudono per intero il sogno del Poeta. Illustrato così dalle sue stesse parole raccolte nell’intervista:

“La mia proposta, come ho già detto, è quella di affidare ogni anno il ricordo di Fellini a una nazione diversa, a un grande regista di quella nazione in grado di raccontarci cosa Fellini ha significato per la loro cultura, quali conseguenze ci sono state sul piano creativo dopo aver assistito ai suoi film; e ci vengano mostrati i documenti, i cinegiornali, i repertori televisivi delle visite di Federico in quella nazione, e quali loro opere, in ogni campo dell’arte, si siano ispirate a lui.

Cominciamo per esempio dalla Spagna; si chiama Almodovar e gli viene assegnata carta bianca su come festeggiare Fellini, in modo che le due culture si incontrino su un piano spettacolare, di affetto e di stima reciproca. Un giorno Federico era stato invitato a Madrid dalla famiglia reale, e tornando mi aveva raccontato di essere stato a pranzo con il re e di aver incontrato a tavola una sorella di Juan Carlos, Margherita, che era cieca. Da quella notizia è venuta fuori l’idea, durante la sceneggiatura di “E la nave va”, della principessa cieca che poi fu interpretata da Pina Bausch. Vedete come procedono i pensieri.” E continuava come un torrente:

“L’anno dopo l’incarico può essere dato alla Francia, dove Federico era di casa, e poi all’Inghilterra, all’America, al Giappone, al Brasile. Pensate che recupero di cultura ci può essere in un progetto come questo, che aumento di conoscenza e di capitale impareggiabile attorno alla figura di Fellini; e come Rimini, la Romagna, a fianco di Federico, potrebbe figurare ogni anno al centro del mondo!”  Quindi andava alla sostanza:

“Mi rivolgo agli amministratori riminesi perché lascino perdere l’impostazione vecchio stile. A me le parole non piacciono più, non apprezzo le chiacchiere, i discorsi, tre o quattro individui che si mettono attorno a un tavolo per ripetere argomenti che si conoscono, che hanno fatto il loro tempo. Un gigante come Fellini può aprire prospettive inimmaginabili se la Fondazione riesce a svecchiarsi e a superare le formule ormai logore, non più adatte, non in armonia con i tempi che stiamo vivendo.”

Infine passava all’altro progetto, altrettanto affascinante e visionario, su cui batteva infervorato:

“L’altro tema che mi sta a cuore è la ferrovia lungo la spiaggia che va fino a Ravenna.

Allora dico, lasciamo il collegamento che è utile e inevitabile, ma cambiamolo riempiendolo di suggestioni, di stimoli, di fantasia. Quel trasferimento può rappresentare una festa. Trasformiamo il treno in una dimensione diversa per il viaggiatore, mettiamoci dentro l’idea di “lentezza” che si accompagna alla scoperta di tutto ciò che non vediamo più, su cui non c’è più il tempo di soffermarsi. Lo spostamento diventerà un gioco se cambia il sentimento con cui lo affrontiamo, arricchendolo di emozioni; con vagoni luminosi, molto colorati, pieni di disegni, di libri, di bellissime immagini. E anche di pubblicazioni sui luoghi dove il treno si ferma, sulle spiagge che i viaggiatori vogliono raggiungere. Impegniamoci a capovolgere un difetto in un pregio, offriamo a chi si sposta l’occasione di essere trasportati dentro la casa di una chiocciola, allegra e ridente. Dobbiamo tenerci stretta la bellezza se vogliamo capire quanto può valere la vita.”

Ciao Tonino, ci manca la tua voce, ma l’ “Orto dei frutti dimenticati” che hai seminato continua come vedi a fiorire rigoglioso.


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