Con Giuliana De Sio e Alessandro Haber eros & thanatos magistralmente in scena

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L’atmosfera squallidamente retrò della pensione Lisbona è il plateau dell’efficace apparato scenico che ci accoglie insieme al maturo e patetico gestore, il signor Alfredo, travestito in versione Patty Pravo, sulle note di “Tutt’al più”. Si apre così “La signora del Martedì”, di Massimo Carlotto, firmato Pierpaolo Sepe con il volto apparentemente mite del versatile Paolo Sassanelli, in vesti muliebri, che offre un ambiguo, leggero e mellifluo incipit di pruderie alla tragicommedia che in itinere rivelerà risvolti inquietanti e drammatici. Questo grand guignol da salotto grondante stilemi del noir inizialmente diverte, progressivamente si diverte a turbarci sempre più, in un concentrato parossistico di vite infernali tese tra malinconia e orrore, tra amore e morte, irrorato dalla forza di due artisti del calibro della De Sio e di Haber, intenti a dipanare con intensità e pathos l’ardua matassa della trucida storia di Nanà, della sua misera vita di diseredata, intrecciata a quella perversa del giornalista Pietro Emilio Belli, energumeno in poltrona a rotelle, innamoratosi perdutamente di lei quando era una giovanissima prostituta di maturi clienti come lui. Fanno da corollario a questo complesso e miserrimo quadro le altrettanto misere condizioni di un attore porno in disarmo, Bonamente Fanzago, dei cui favori la misteriosa signora pagante gode tra le quindici e le sedici di ogni Martedì da ben nove anni. Anche lui si è innamorato di Nanà, che però si sottrae pervicacemente all’amore, ferita nell’amore come del resto tutti i personaggi di questa pièce.

Siamo lontani dalle atmosfere garbatamente osé dell’ultimo film di Emma Thompson “Il piacere è tutto mio” che affronta con delicatezza l’amore mercenario di mature signore sole, desiderose di una carezza, di un bacio. La storia qui si snoda tra sentimenti malsani e e giochi al massacro, che spingono in tutt’altra direzione rispetto alle note iniziali, creando effetti scenici truculenti, grondanti sangue e disperazione, fino agli esiti estremi. Parabola discendente, la storia di Nanà, al secolo Alfonsina Malacrida, ora donna matura, ma sempre bella e avvenente, impietosisce per quell’ombra di verità che si annida nel personaggio, un tempo prostituta-bambina di una famiglia sgangherata, costretta al turpe mercato da un padre snaturato, minacciato a sua volta da malavitosi spietati che faranno comunque strage della famiglia. Paradossalmente si salva solo lei che era a prostituirsi, ma non avendo un alibi viene arrestata e costretta a botte e sevizie dalla polizia a confessare di essere l’assassina della sua famiglia.

Vittima innocente, Nanà sconterà anni di carcere. Un caso di cronaca nera come un altro, con un capro espiatorio e ingiustizie e soprusi a vagonate. Il giornalista la rintraccia finalmente nella pensione dove si reca appositamente per incontrare la meschina che, uscita di prigione, ha tentato vanamente di rifarsi uno straccio di vita, di allontanarsi da un terribile passato a cui invece il sordido innamorato-aguzzino la ricaccia e la inchioda inesorabilmente. L’esito di questa persecuzione porterà Nanà sulla soglia di un destino perverso dove vittima e carnefice soccombono e a cui la donna non può sfuggire se non con un gesto estremo consumato nella torbida sensualità di un malinconico tango, eredità materna a cui Nanà si aggrappa nel ricordo di momenti felici, in mezzo a tanto sfacelo. La tragicità dei contenuti ambisce ad assurgere a denuncia sociale, cercando di rappresentare il male in varie sfaccettature, grazie a un cast sinergico che ci restituisce il ritratto di quattro personaggi-spia di uno sconvolgente universo parallelo, fatto di prostituzione, di film porno, di passionali relazioni omosessuali a sfondo tragico, declinati da un’opera che fortunatamente si avvale di sprazzi di ironia, alleggerendo l’immagine retorica di un mondo perverso spesso volutamente ignorato o peggio consumato nel più bieco voyeurismo. Carlotto, ansioso di frugare nel male di vivere, non ci risparmia i dettagli del degrado umano, additandoci complici di un’indifferenza che tenta di scuotere a colpi di scena, squarciando il nostro spazio sicuro di borghesi benpensanti con i brandelli di una realtà crudele, vivisezionata da un bisturi implacabile. Senza sconti assistiamo a un provocatorio spettacolo di pura ingiustizia, turpe monumento ai caduti della vita. Usciremo dal teatro inevitabilmente ammaccati, tristi, indignati, sulla scia di un dolore catartico in parte condiviso, anche se per poche ore, su cui l’arte depone fiori.

LA SIGNORA DEL MARTEDI’

di Massimo Carlotto
con Giuliana De Sio, Alessandro Haber, Paolo Sassanelli, Riccardo Festa e Paolo Persi
Regia di Pierpaolo Sepe
Scene Francesco Ghisu
Costumi Katarina Vukcevic
Produzione Gli Ipocriti Melina Balsamo – Teatro della Toscana – Goldenart production

Al Teatro ABC di Catania fino al 12 Marzo


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