Caro Vespa, ti spiego cos’era “Il Fatto” di Enzo Biagi   

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Lunedì 27 febbraio Bruno Vespa raddoppierà la presenza in video: oltre a Porta a porta andrà in onda con una nuova trasmissione, una striscia quotidiana alle ore 20.32 in coda al Tg1 dal titolo Cinque minuti, affollando un palinsesto già pieno di informazione: su Rai2 dalle 20.30 alle 21 va in onda il Tg2, su Rai3 Marco Damilano conduce Il cavallo e la torre con ottimi risultati contro la corazzata di Lilli Gruber su La7, basta un piccolo sforamento del Tg1, come spesso accade in questo periodo di guerra, che i due programmi si andranno a sovrapporre.

Con l’avvento del primo governo di destra-destra nella storia della Repubblica, Vespa ce l’ha fatta ad inserirsi in quella zona del palinsesto tanto ambita perché frequentata da milioni di telespettatori. Avrebbe potuto puntarci già 39 anni fa, nel 1984, ma Enzo Biagi disse no all’invitante proposta di Silvio Berlusconi di trasferirsi dalla Rai alla tv della Fininvest per completare una straordinaria squadra composta da Indro Montanelli, Arrigo Levi, Giorgio Bocca, Enzo Bettiza e capitanata dallo storico direttore del Giorno Guglielmo Zucconi. A settembre su Rai1, durante la presentazione dei palinsesti del servizio pubblico, mentre sfilavano i campioni della rete: da Pippo Baudo a Piero Angela, da Renzo Arbore a Heather Parisi, da Gianni Morandi a Pippo Franco, squillarono le trombe per l’entrata dell’ospite d’onore, Enzo Biagi, che, sorprendendo tutti, annunciò la seconda edizione del suo fortunatissimo Film Dossier. E motivò così la scelta di rimanere in Rai: “Sono vecchio e a certe coerenze tengo sempre, ho lasciato il Corriere della sera a causa della P2. Come sono uscite le liste di Gelli ho detto che con i piduisti non voglio aver niente a che spartire”.  A dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, che per Berlusconi il “problema Biagi” risolto con il famoso “editto bulgaro”, non era nato nel 2001 con l’intervista a Benigni durante la campagna elettorale. In ogni caso, la decisione del grande giornalista di rimanere in Rai non fu presa bene da alcuni colleghi vicini a Bettino Craxi e alla DC, quella più conservatrice, che accusarono viale Mazzini di mettere una fetta preziosa del palinsesto a disposizione di un giornalista esterno, lui che era stato direttore del telegiornale, l’inventore del primo rotocalco televisivo, che aveva portato i giornalisti a condurre il Tg al posto degli annunciatori e che aveva fatto debuttare l’informazione sul secondo canale. I giornalisti si riunirono in assemblea, ma tutto finì in una bolla di sapone. Fu Emilio Fede, già direttore del Tg1, che fece la sintesi dell’accaduto rispondendo alla domanda del perché di tanto rumore per nulla: “Invidie personali”. Poi aggiunse: “Una volta tanto che qualche grande personaggio sceglie la Rai, dobbiamo proprio rompergli le scatole?”

In questi giorni di vigilia della partenza di Cinque minuti si è scritto molto del Fatto di Enzo Biagi. Quanti ricordi, per noi che abbiamo lavorato con Biagi e con lui abbiamo vissuto quella straordinaria stagione televisiva che è passata alla storia della tv. Mentre i critici indicavano Il Fatto il miglior programma dei primi cinquant’anni della Rai, l’allora presidente del Consiglio Berlusconi, da Sofia, aveva accusato Biagi, Daniele Luttazzi e Michele Santoro di “uso criminoso della tv” con tanto di chiusura del programma. Dopo 41 anni di onorato servizio, Biagi fu esiliato dalla Rai. Lui, non si diede per vinto, resistette e nell’aprile 2007, molto malato, tornò in onda riproponendo il titolo del suo primo programma, RT Rotocalco Televisivo; pochi mesi dopo se ne andò.

E’ CAMBIATO IL MONDO E ANCHE LA TV                                                                                                                   Cinque minuti e Il Fatto non avranno molto in comune, così come i due conduttori, e poi dall’ultima puntata del programma di Biagi sono trascorsi più di 20 anni: nel frattempo è cambiato il mondo e di conseguenza anche la tv. La tecnologia è passata dall’analogico al digitale, sono aumentate le piattaforme trasmissive, è nata la tv satellitare Sky dalla fusione di Stream tv e Tele+, si guarda la tv in streaming sul computer, sul telefonino, sul tablet, sono arrivate in Europa: Netflix e Disney+, le partite di calcio della Serie A si vedono su Dazn, nelle tv generaliste la prima serata si vincere anche con il tredici per cento di share, un dato che allora avrebbe fatto chiudere qualsiasi programma.

I Cinque minuti di Vespa ci danno l’occasione di ricordare perché è nato Il Fatto di Enzo Biagi. C’era un’esigenza di palinsesto: spostare la messa in onda della prima serata verso le 20.45 per aggiungere un break pubblicitario nella fascia di maggior ascolto, quella appunto dopo il Tg1. Dal marketing Rai fu commissionato uno studio per capire chi fosse il conduttore che, per credibilità professionale e per statura morale, fosse in grado di andare in onda per cinque minuti senza far perdere ascolto alla rete, perché il programma sarebbe stato incastrato tra due break pubblicitari ravvicinati (il primo alla fine del Tg1, il secondo, quello da aggiungere, alla fine della trasmissione), nello spazio più importante per le entrate pubblicitarie. Il pubblico mise Biagi al primo posto e Piero Angela al secondo. Così è nata la striscia di approfondimento dopo il Tg1. L’ascolto superò ogni previsione e quello che all’inizio era sperimentale divenne una certezza nel palinsesto di Rai1 andando in onda per otto edizioni: 846 puntate con una media del 24% di share e circa 6 milioni di ascolto, il record con l’intervista a Marcello Mastroianni con 12 milioni di spettatori, come una puntata di Sanremo di Amadeus.

IL SUCCESSO NON ARRISE A FERRARA                                                                                         Quello di Vespa non è il primo tentativo di clonazione del programma di Biagi: dal 2004 ad oggi ci sono stati ben cinque tentativi, più o meno tutti falliti, il più clamoroso nel 2012 con Qui radio Londra di Giuliano Ferrara che, dopo il crollo di ascolto, non accettò di traslocare a dopo il Tg1 delle 13.30 e così lo spazio fu chiuso.

Biagi avrebbe dovuto depositare il format, quando gli fu proposto disse che da sempre tutto ciò che lui faceva era di proprietà della Rai e solo la Rai poteva decidere il da farsi. Altri tempi e altri uomini!

Fonte:  “OGGI”


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