Sonja Biserko: l’invasione russa dell’Ucraina scatenerà il caos nei Balcani

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Proponiamo questa intervista a Sonja Biserko, fondatrice e presidente dell’Helsinki Committee for Human Rights in Serbia, realizzata da Jasmin Agić e pubblicata da OBC Transeuropa, originariamente pubblicato da Al Jazeera Balkans.

“Fin dall’inizio della crisi ucraina i Balcani occidentali hanno rappresentato, e rappresentano tuttora, una sorta di secondo fronte di guerra, che potrebbe aprirsi in qualsiasi momento”, così descrive la situazione Sonja Biserko fondatrice e presidente dell’Helsinki Committee for Human Rights in Serbia

Ritiene che l’aggressione della Russia all’Ucraina fosse prevedibile? Quali potrebbero essere le conseguenze della guerra in Ucraina per i paesi confinanti, ma anche per i Balcani occidentali?

L’invasione russa dell’Ucraina di certo non è arrivata a sorpresa, era prevedibile che accadesse. Ciò che però inciderà in modo decisivo sull’andamento della situazione sarà la reazione dell’Occidente, ossia della Nato. Molto dipenderà dalla capacità dei paesi occidentali di adoperarsi concretamente per contrastare l’invasione russa in modo da poter riprendere i negoziati. Al momento però questo scenario sembra improbabile.

D’altra parte, fin dall’inizio della crisi ucraina i Balcani occidentali hanno rappresentato, e rappresentano tuttora, una sorta di secondo fronte di guerra, che potrebbe aprirsi in qualsiasi momento. Quindi, bisogna seguire attentamente ogni mossa di Mosca e il suo atteggiamento nei confronti dei Balcani, in particolare per quanto riguarda la Bosnia Erzegovina, ma anche la Serbia, il Montenegro e la Macedonia del Nord. Ormai da qualche anno la Russia è molto attiva nei Balcani, soprattutto nell’ambito della sicurezza. Non è quindi da escludere che Mosca cerchi di provocare il caos anche nei Balcani.

L’Occidente si aspettava a lungo che Putin accettasse di sedersi al tavolo negoziale. Anche in Bosnia Erzegovina gli Stati Uniti avevano deciso di reagire, lanciando un’offensiva diplomatica, solo quando il radicalismo di Milorad Dodik aveva ormai superato ogni limite. Ora però ci si aspetta che i paesi occidentali agiscano in modo più deciso e che si impegnino più attivamente nei Balcani, anche per scongiurare qualsiasi intervento russo in Bosnia Erzegovina.

Quindi, c’è da aspettarsi che, dopo l’aggressione all’Ucraina, Mosca cerchi di creare il caos nei Balcani occidentali?

Sì, è del tutto possibile che ciò accada. Vi è il rischio, latente ormai da tempo, che la Russia faccia precipitare i Balcani nel caos. Mosca ormai da anni sostiene Dodik, soprattutto in termini di sicurezza. Dodik non sarebbe mai riuscito a svolgere un ruolo così incisivo sulla scena politica se non fosse stato appoggiato da Belgrado, e soprattutto da Mosca.

Quali ripercussioni potrebbe avere la crisi ucraina sui paesi dei Balcani occidentali, in particolare su Serbia, Bosnia Erzegovina, Montenegro e Kosovo?

Parallelamente allo scoppio della crisi ucraina era scoppiata anche una crisi nei Balcani occidentali. Milorad Dodik aveva portato la Bosnia Erzegovina ad un passo dalla dissoluzione prima che i diplomatici statunitensi ed europei decidessero di reagire, lanciando un’offensiva il cui epilogo resta imprevedibile. È chiaro che le azioni intraprese da Dodik negli ultimi anni sono state appoggiate da Belgrado, ma anche, e soprattutto da Mosca. Così la Russia ha aperto due fronti, uno in Ucraina e l’altro nei Balcani occidentali, ovviamente focalizzandosi maggiormente sull’Ucraina. Ma anche la situazione nei Balcani è preoccupante, soprattutto in Bosnia Erzegovina, dove i recenti tentativi di raggiungere un accordo su una riforma della legge elettorale sono andati a vuoto, la sopravvivenza del paese è messa in discussione e Dodik persiste nel suo radicalismo. Nel frattempo, la Croazia è tornata ad insistere sulla necessità di migliorare la posizione dei croati in Bosnia Erzegovina. Quindi, si è ben lontani dal trovare un compromesso.

In Montenegro invece il dominio del “mondo serbo” è stato in parte arginato, ma non è per nulla scontato che il prossimo governo possa riportare il paese sulla strada della normalità e dello sviluppo [dopo la caduta del governo Krivokapić, lo scorso 4 febbraio, in Montenegro sono iniziate consultazioni e trattative per la formazione di un esecutivo di minoranza, ndt]. Il Partito democratico dei socialisti (DPS) si è nuovamente imposto sulla scena politica, affermando di voler fornire un appoggio esterno ad un governo di minoranza. Tuttavia, Mosca in qualsiasi momento potrebbe decidere di far precipitare la situazione in Montenegro attraverso i servizi segreti serbi e la Chiesa ortodossa serba.

Il prossimo 28 febbraio a Belgrado dovrebbe arrivare il segretario del Consiglio di sicurezza russo Nikolai Patrushev per affrontare – come ufficialmente annunciato – la questione dei cittadini bosniaco-erzegovesi, albanesi e kosovari andati a combattere in Ucraina. Non so quanto sia veritiera questa spiegazione, ma sono convinta che la visita di Patrushev sia motivata anche da altre ragioni.

Come viene raccontata in Serbia la crisi ucraina? Ritiene che l’opinione pubblica serba abbia una corretta percezione di quanto sta accadendo in Ucraina?

Ciò che preoccupa è l’atteggiamento dei media, ossia dei tabloid che tifano per Mosca e aprono con titoli del tipo: “L’Ucraina ha attaccato la Russia”. La leadership serba, in primis il presidente Aleksandar Vučić, parla apertamente della possibilità che la Serbia venga sottoposta a pressioni sempre maggiori e che l’offensiva statunitense nei Balcani possa portare all’adesione del Kosovo alla Nato. Si continua a ripetere che nei mesi a venire la Serbia subirà forti pressioni, ma che comunque persisterà nel mantenere la propria neutralità e indipendenza.

Replicando all’ambasciatore ucraino a Belgrado, il quale ha affermato di aspettarsi che la Serbia condanni l’invasione russa dell’Ucraina, il presidente Vučić ha precisato che la Serbia condannerà l’intervento russo solo quando l’Ucraina deciderà di condannare l’intervento della Nato contro la Serbia del 1999. La Serbia è candidato ufficiale per l’adesione all’UE, ma il comportamento della leadership di Belgrado e la sua incapacità di intraprendere vere riforme lascia pensare che il paese pian piano stia abbandonando la strada europea.

Questa situazione e l’attuale contesto internazionale restringono lo spazio di manovra di Belgrado. Le potenze occidentali sicuramente faranno pressione sulla Serbia affinché appoggi le sanzioni contro la Russia, ma la leadership serba ha già annunciato di non avere alcuna intenzione di farlo.

Quindi, secondo lei, la Serbia si schiererà con l’Occidente o con la Russia?

Nell’attuale situazione – in cui indubbiamente emergerà la vera natura dei rapporti tra Stati Uniti e Russia, ma anche tra Unione europea e Russia – la Serbia evidentemente non è pronta ad assumere una chiara presa di posizione. Col tempo Belgrado sarà sottoposta a sempre maggiori pressioni affinché scelga da che parte stare e il suo spazio di manovra si restringerà sempre di più. Purtroppo, non credo che la Serbia sceglierà di schierarsi con l’Occidente, non lo ha mai fatto nel corso della storia.

A giudicare dalle dichiarazioni di alcune persone vicine al presidente Vučić che spesso partecipano ai dibattiti televisivi, è poco probabile che la Serbia scelga definitivamente la strada europea. Negli ultimi giorni si sente spesso dire che la Serbia non percepisce l’Unione europea come un partner strategico e che in questo momento l’UE non è un attore cruciale sulla scena politica internazionale.

La Serbia naviga nell’attuale contesto internazionale cercando di appoggiarsi da un lato alla Cina e alla Russia e dall’altro all’UE e agli Stati Uniti, Tuttavia, da quando i rapporti tra le potenze occidentali e la Russia si sono inaspriti, la posizione della Serbia è notevolmente cambiata. Belgrado è sempre più vicina, anche militarmente, a Mosca e difficilmente potrà continuare a fingere di perseguire una politica di neutralità.

Secondo lei, Mosca potrebbe chiedere a Belgrado di riconoscere l’indipendenza delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luganks, per ricambiare l’appoggio fornito alla Serbia da parte della Russia, soprattutto in seno al Consiglio di sicurezza dell’Onu?

La Serbia ha sempre ribadito il suo appoggio all’integrità territoriale e alla sovranità dell’Ucraina, quindi un eventuale riconoscimento delle due repubbliche separatiste da parte di Belgrado segnerebbe una svolta nella sua politica estera. Vi è però un altro aspetto che occorre tenere in considerazione. Putin ha motivato la decisione di occupare le due regioni dell’Ucraina orientale utilizzando gli stessi argomenti utilizzati dalla Nato durante l’intervento in Kosovo, affermando cioè di voler fermare un genocidio.

Quindi, mettendo sullo stesso piano Ucraina e Kosovo, Putin in un certo senso ha lasciato intendere che la Serbia non potrà più contare sull’appoggio assoluto della Russia per quanto riguarda la questione del Kosovo. Se Putin ritiene che l’intervento russo nell’Ucraina orientale possa essere paragonato all’intervento della Nato in Kosovo, cioè significa che per lui l’indipendenza del Kosovo, così come l’indipendenza delle due repubbliche separatiste, è ormai una cosa definitiva. Quindi, la Serbia non può più considerare la Russia come un alleato che sempre difenderà gli interessi nazionali serbi in seno al Consiglio di sicurezza dell’Onu battendosi per il rispetto dell’integrità territoriale delle Serbia che includa al suo interno il Kosovo.

Ritiene che nel grande “gioco” tra Occidente e Russia quest’ultima possa essere spinta a riconoscere l’indipendenza della Republika Srpska in risposta alle sanzioni imposte a Mosca, ma anche con l’intento di conquistare un nuovo spazio geostrategico?

Secondo me, questo è lo scenario peggiore. Forse mi sbaglio, ma mi sembra che quanto sta accadendo in Ucraina possa spingere Dodik a radicalizzare ulteriormente la sua posizione e dichiarare l’indipendenza della Republika Srpska. Ad ogni modo, se Dodik dovesse intraprendere tale strada, la Russia potrebbe cercare di imporsi come un attore in grado di risolvere la situazione, per ottenere in cambio dalle potenze occidentale certe concessioni sulla questione ucraina.

In questo momento possiamo solo tirare a indovinare su come evolverà la situazione, nulla è ancora certo. Vedremo come andrà la visita di Nikolai Patruchev a Belgrado e quale messaggio invierà il segretario del Consiglio di sicurezza russo ai suoi interlocutori serbi. Non vi è dubbio che si tratta di una visita importante. Anche perché è stata pubblicamente annunciata e tutti i media hanno riportato la notizia. Le visite di questo tipo di solito si svolgono lontano dagli occhi dell’opinione pubblica e sono avvolte da un velo di mistero. Questa volta invece la visita di Patruchev è stata annunciata pubblicamente.

Vučić spesso parla dell’esercito serbo, descrivendolo come un esercito forte, l’esatto contrario dell’Armata popolare jugoslava, definita dal presidente serbo come lenta, incapace e disorganizzata. Quale messaggio vuole inviare Vučić con questa retorica ai paesi della regione post jugoslava?

Vučić ricorre a questa retorica ormai da anni, da quando ha iniziato ad acquistare nuovi armamenti e rafforzare l’esercito serbo, sicuramente volendo così in un certo senso intimidire gli altri paesi della regione che dispongono di eserciti più piccoli rispetto a quello serbo. La leadership di Belgrado sostiene che, nonostante la Croazia sia ormai membro della Nato, l’esercito serbo sia più potente di quello croato.

Occorre sottolineare che qualche giorno fa Jens Stoltenberg ha dichiarato che ogni stato membro della Nato potrà contare sull’appoggio dell’Alleanza nel caso dovesse essere aggredito, ponendo così nuovamente in primo piano l’articolo 5 [del Trattato di Washington]. Il Montenegro ha già aderito alla Nato. Anche in Bosnia Erzegovina sono dispiegate le forze internazionali (Eufor), ma contano pochi membri e non sarebbero in grado di impedire lo scoppio di un eventuale conflitto.

Nel frattempo, la Russia continua a minare l’operato dell’Alto rappresentante in Bosnia Erzegovina perché la sua nomina non è stata formalmente approvata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Mosca può mettere il veto su qualsiasi proposta dell’Onu finalizzata a rendere la BiH un paese più funzionale. Dragan Čović, leader del principale partito dei croato-bosniaci, gode dell’appoggio di Mosca, ma la questione dei croato-bosniaci è diversa da come Čović cerca di presentarla, perché lui in realtà si batte per la creazione di una terza entità, un’entità croata, all’interno della BiH. Quindi sia i serbi che i croati continuano a perseguire la stessa politica che hanno perseguito durante la guerra in Bosnia, solo che ora utilizzano mezzi diversi.

La Russia intrattiene buoni rapporti sia con Belgrado che con Zagabria, sfruttando ogni occasione per contribuire all’instabilità della Bosnia Erzegovina in modo da poter mantenere irrisolta la crisi nella BiH finché Mosca non riuscirà a soddisfare i propri interessi e ambizioni nell’Ucraina orientale e nei paesi vicini.

Sonja Biserko (foto Medija Centar Beograd  )


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