Un codice blu e una identità digitale specifica per i disabili

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Nella giornata internazionale della disabilità, occasione per tante chiacchiere, dichiarazioni e buoni propositi, sarebbe quanto mai necessario ristabilire un forte legame con la realtà e, almeno in Italia, cercare di realizzare attraverso il PNRR quel minimo di diritti che le persone con qualsiasi tipo di invalidità oggi ancora non hanno.

Il recente caso del malato di Alzheimer settantenne fuggito dal pronto soccorso del Policlinico Gemelli a Roma e ritrovato morto poche ore dopo sulla Via Cassia, ha sollevato tragicamente il velo che invano i parenti dei disabili hanno cercato di rimuovere dal primo giorno di crisi sanitaria per Covid. La durissima realtà è che centinaia di italiani sono morti per il virus ma forse sarebbero stati salvati se accanto fosse stato possibile mantenere il loro familiare di riferimento, quello che il mondo ha cominciato a conoscere come caregiver. Perché il malato disabile fisico o mentale in ospedale da solo semplicemente non ci può stare! Il recente caso del Gemelli, grazie ai due figli della vittima e alla sensibilità di “Chi l’ha visto” e di Federica Sciarelli, ha fatto rumore e immediatamente è stato preso in carico da una miriade di associazioni di parenti e caregiver che da decenni invocano leggi specifiche per chi è portatore di disabilità invalidanti , in particolare le malattie neurologiche.

L’invalido è per l’opinione generale una persona in carrozzina. No. Non è affatto questo e non è mai solo questo. La stragrande maggioranza degli invalidi di ogni età è una persona fragile nel fisico ma ancora di più nella mente, la cui vita è basata sulle figure che se ne prendono cura, siano essi parenti , come nella maggior parte dei casi, o siano anche badanti, operatori sociali, infermieri che seguono l’evolversi della sua malattia e se ne fanno carico. E’ di loro che queste persone sfortunate hanno ancora più bisogno nel momento di un ricovero in ospedale. Costringere gli accompagnatori a lasciarli è una barbaria. Molte regioni ci stanno ripensando, anche perché la legge 104 prevede la presenza del familiare perfino a bordo dell’ambulanza. E, prima del Covid, questa esigenza era sentita anche dai medici, che si rivolgono subito al familiare per sapere come trattare quel tipo di paziente. Il Covid fra le tante tragedie ha aggiunto questa normativa che per mesi troppo hanno adottato in modo un po’ disumano. Ora molte regioni, come il Lazio, dopo il caso più recente, stanno adottando nuove regole, in Puglia sono cambiate dopo che una figlia è rimasta incatenata per giorni sotto un ospedale dove era ricoverata la madre, moltissimi altri casi stanno sbloccando le situazioni regione per regione. Ma non può funzionare così. I modelli, come sempre, esistono. In Danimarca, per esempio, in Irlanda, in altri paesi del nord Europa.

Gli invalidi sono censiti dall’INPS e seguiti dalle ASL. Non è difficile realizzare due obiettivi che le organizzazioni specializzate chiedono: un codice BLU in aggiunta a quelli verdi, gialli e rossi in uso per chi arriva in ospedale. Il codice blu spiega da solo che si è in presenza di un malato portatore di disabilità e deve essere consentita la presenza accanto di un accompagnatore riconosciuto come tale. Serve inoltre una identità digitale contenuta in una tessera, la disability card che il governo ha promesso, in cui sia riassunta una breve storia clinica del paziente con alcuni esami medici, in modo che chi interviene in emergenza legga subito le principali patologie di cui è portatore l’invalido.

Nel piano di interventi per riportare a livelli dignitosi la sanità pubblica, lo spazio per questi ultimi e dimenticati,gli invalidi, che spesso vuole dire anche anziani, merita questa volta una corsia di emergenza tristemente motivata dal di più di sofferenza, di morti, di conseguenze a lungo termine che il Covid sta portando e come riconoscimento per chi non ce l’ha fatta non tanto e non solo per la malattia, ma perché lo Stato non ha fatto il suo dovere.


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