20 anni della guerra al Terrorismo

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Oggi esce il mio nuovo libro “La principessa afghana e il giardino delle giovani ribelli”.  Un romanzo tratto dalla storia vera della principessa Homaira Wali che ha vissuto in esilio in Italia continuando a lavorare per la pace finchè ha potuto. Un libro che è un viaggio tra il passato e presente e che  vi porterà dentro le atmosfere afghane di un tempo, con  i sapori e i profumi di quando l’Afghanistan era attraversato da carovane di giovani hippies europei diretti in India. Capirete leggendo chi sono le protagoniste che entrano ed escono da una sorta di giardino incantato dove la speranza non è mai spenta. Un libro che è un appello a non abbandonare le donne afghane, come già accaduto in passato.
Ma oggi è anche un anniversario importante. Sono i 20 anni della guerra al Terrorismo. Era il
7 ottobre 2001:  gli americani iniziarono a bombardare l’Afghanistan. Era l’avvio di Enduring Fredoom, quella guerra al terrorismo, che non è ancora finita. Il cielo venne oscurato da una pioggia di bombe che si abbatterono sulle caserme di Al Qaida dopo che per tre settimane il presidente Bush aveva chiesto inutilmente ai talebani di consegnare Osama Bin Laden responsabile degli attacchi al World Trade Center. La più grave ferita inferta al cuore dell’America. L’Afghanistan allora  era un campo di addestramento per terroristi provenienti da  tutto il mondo, come dimostravano i documenti ritrovati allora anche da noi giornalisti negli edifici di Al Qaida abbandonati di corsa  dai suoi occupanti in fuga dalla furia americana. Sono passati vent’anni, i soldati internazionali hanno lasciato l’Afghanistan e i talebani sono di nuovo al potere a Kabul, mentre il presidente Biden nel chiudere il capitolo sulla più lunga guerra americana ha affermato  che le minacce terroristiche ora vengono da altri luoghi come gli Shabab in Somalia, gli affiliati di Al Qaida in Siria e Yemen, i fedelissimi di Isis nei paesi del nord Africa e in Asia. Bastano i droni, ci ha fatto capire, per tenere sotto controllo le frange integraliste e pochi “boots on the ground” uomini sul terreno.  Anche i riflettori della stampa internazionale sull’Afghanistan si stanno spegnendo e le voci dei media afghani si fanno sempre più flebili. La censura è palpabile sullo scarno flusso di notizie che esce dal paese sull’orlo di una drammatica crisi umanitaria. Foto di incontri ufficiali dei membri del governo provvisorio alla ricerca di  consenso della comunità internazionale, qualche distribuzione di cibo, notizie sulla squadra di cricket, qualche immagine sui raccolti di frutta,sempre meno le dimostrazioni di protesta per la chiusura delle scuole femminili. Ieri una delegazione britannica si è incontrata con il mullah Baradar, secondo l’idea corrente che comunque con i talebani bisogna dialogare. Intanto ogni giorno che passa viene tolto qualche diritto alle donne e di conseguenza a tutti gli afghani. Impedire alle donne di studiare e lavorare significa impedire al paese di crescere e progredire, ma i talebani non lo capiscono perché anche  la loro istruzione è limitata e si ferma alle scuole coraniche dove sono stati formati. La loro idea di segregazione sessuale è malata, frutto di una visione della donna come tentatrice, essenza del male e quindi da dominare. Il mio pensiero va alle povere donne afghane che in questi 20 anni, pur tra tante difficoltà, hanno potuto immaginare un futuro e ora hanno visto spegnersi ogni speranza. Sono cresciute in un paese conservatore, ma senza i talebani al potere. Sono donne coraggiose e spero che il g20 che si aprirà tra una settimana presieduto dall’Italia ponga condizioni chiare ai talebani affinchè le donne ritrovino i diritti persi e l’Afghanistan non torni ad essere un paradiso per terroristi.


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