La memoria di “Meno dodici” di Pierdante Piccioni raccontata da Pierangelo Sapegno

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L’incontro è avvenuto al Festival “Vie del giornalismo”alla vigilia di ferragosto in quel di Castagneto Carducci, suggestivo comune della Maremma, dove si svolge nel mese di agosto una rassegna di incontri con autori, scrittori, giornalisti protagonisti storie che meritano di essere conosciute, ascoltate ma soprattutto lette. L’ultimo appuntamento in programma per l’edizione 2021, curato da Elisabetta Cosci su incarico della sindaca Sandra Scarpellini, (manifestazione di alto livello culturale in cui la cittadinanza è coinvolta e partecipa attivamente) aveva come ospite Pierangelo Sapegno, giornalista e inviato del La Stampa di Torino che insieme al dottor Pierdante Piccioni, primario di Lodi e Codogno, ha scritto dei libri che raccontano una vicenda di amnesia accaduta al medico dopo aver subito un danno cerebrale a causa di un incidente stradale: “Colpevole di amnesia”, “Meno dodici”, “Pronto soccorso”, “In prima linea. Storie di medici e pazienti in lotta contro il virus” .

Pierangelo Sapegno, Elisabetta Cosci, Sandra Scarpellini

La vicenda di un medico che oltre ad essere primario del pronto soccorso, è stato consulente del ministero della Salute, docente universitario. Nel 2013, a causa di un incidente entra in coma e quando si risveglia è convinto che sia il 25 ottobre 2001. Dodici anni di vita cancellati. Non ricorda nulla di quanto accaduto in questo lasso di tempo e questo crea una serie di problemi tra cui i rapporti con la famiglia. A Castagneto Carducci doveva esserci pure lui a testimoniare di persona quanto accaduto, ma per motivi famigliari ha dovuto rinunciare lasciando a Pierangelo Sapegno il compito di raccontare una storia che è diventata anche una fiction in onda sui canali Rai dal titolo Doc – Nelle tue mani, per la regia di Jan Maria Michelini e con protagonista Luca Argentero. Tutto nasce dall’incarico di intervistarlo per La Stampa. Il giornalista parte per andare a conoscere questo medico dopo aver saputo del suo incidente e il risveglio che gli cambierà la vita.

«Il dottor Pierdante Piccioni ha accettato di essere intervistato da me e io avviso subito la mia redazione e sono il primo a farla uscire sul sito web del mio giornale subito dopo averla scritta e la cosa più importante da evidenziare è la rivoluzione avvenuta nel 2001 con l’introduzione dell’era tecnologica che ha soppiantato i fax e i dimafoni ( i giornalisti inviati e corrispondenti dettavano gli articoli al telefono che venivano registrati su nastri magnetici per poi trascrivere il testo su tastiera elettronica e inviarli ai redattori per l’impaginazione, ndr) e l’uso di internet ha permesso che la notizia venisse divulgata subito. Dopo la pubblicazione sono stato contattato anche dal settimanale Oggi con il quale collaboro, chiedendomi di scrivere sul caso. Richiamo il dottor Piccioni il quale stava vivendo un dramma in famiglia e sottovalutato dai suoi stessi famigliari. La perdita della memoria è qualcosa di più invisibile e difficile da gestire. A lui accade una sorta di rivoluzione del suo ruolo che ricopriva prima quando in ospedale veniva definito un “principe bastardo”, dove il medico vede nel paziente un oggetto e non si fa coinvolgere.

 

 

Trovandosi dall’altra parte come paziente, Piccioni vede capovolgersi il suo ruolo e inizia a capire – spiega Pierangelo Sapegno – , compatire, provare empatia. Cambia il suo modo di relazionarsi e la sua condizione lo porta ad intraprendere una missione verso gli altri. I risvolti nella sua famiglia però sono drammatici e mi confida che aveva provato anche il desiderio di suicidarsi, cercando la pistola che possedeva il padre ma trova un libro che aveva letto da adolescente dove c’è scritta una frase che lo scuote: “Chi è il miglior amico di me stesso? Io”. A quel punto chiede di tornare a fare il medico ma riceve una risposta negativa. Insiste e ottiene il posto ma viene isolato dai colleghi, a questo punto chiede di essere esaminato e supera centinaia di test per verificare se era ancora idoneo a svolgere la professione di medico.

Questa sua vicenda così travagliata attira l’attenzione della casa editrice Mondadori e nasce così “Meno dodici”il primo libro scritto a quattro mani. Arrivano le richieste di scrivere una sceneggiatura per un film e si fa avanti la Lux Vide che produce una fiction per la televisione con Luca Argentiero come protagonista nel ruolo del primario. Per me è stato molto difficile capire l’uomo e la sua tragedia che viveva. Voleva tornare al suo mondo di prima e non si riconosce in quello che è ora. In suo aiuto viene il web e la tecnologia digitale che gli permette di recuperare e senza il quale non avrebbe potuto superare tutti i test di medicina».

Un racconto avvincente capace di catturare l’attenzione del pubblico presente, tra quali c’era anche il direttore sanitario dell’Ospedale Meyer di Firenze. L’ospite del Festival pone una domanda significativa che riassume perfettamente la situazione di sofferenza vissuta da Piccioni. «Cos’è la memoria? Lo scrittore José Saramago lo spiega come una funzione psichica e neurale di assimilazione attraverso i sensi e il processo di elaborazione dei dati raccolti dal cervello ma da un punto di vista umano e filosofico come intendeva Platone con la reminiscenza (il risveglio della memoria o anamnesi. Qualcosa che si ridesta e che è presente nell’anima ma che viene automaticamente smarrito, dimenticato, quando si nasce. Un processo inconscio che Platone definisce un modo per conoscere e ricordare, ndr). Si possono iscrivere alla memoria anche delle cose che non conosci, ma appartengono alla tua vita, al tuo passato. Piccioni ha 123 di quoziente intellettivo e dal 123 in su sei considerato un genio. Accade poi che dopo l’uscita del libro “Meno dodici” si presenta dal medico una donna che ha perso la memoria e quando si risveglia dal coma non riconosce l’uomo con il quale viveva.

Questo vuol dire che il tempo è decisivo nella nostra vita e per Piccioni la sensazione è quella di aver perso dodici anni. Il tempo è la cosa principale della memoria, un presente che continua per sempre. Saramago dice che noi siamo la memoria che abbiamo, la responsabilità che noi ci assumiamo , qualcosa che ti possiede. E Piccioni deve fare i conti con quella che ha perso e ci sono dei segreti nella sua vita dei quali non ricorda nulla. Chi sapeva era il suo padre confessore ma la sua morte impedirà di scoprire delle verità celate». Il racconto termina e lascia una sensazione di stupore e di incredulità come la psiche umana possa essere così difficile da comprendere e «la memoria persa è come se si rompessero dei cassettini dove cade quello che è riposto» – conclude lo scrittore e giornalista Pierangelo Sapegno ricordando che tutti i proventi dei libri guadagnati da Piccioni sono stati devoluti in beneficenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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