Grillo, Salvini e il futuro dell’Italia 

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La tragedia dai contorni farseschi che sta andando in scena nel Movimento 5 Stelle pone chiaramente in evidenza tutti gli errori che sono stati compiuti,  non solo da loro, nell’ultimo decennio. Più che di errori, a dire il vero, dovremmo parlare di scelte consapevoli e deleterie, di una sistematica volontà di distruggere la politica, di un diffuso desiderio, da cui è stato tutt’altro che alieno il Partito Democratico, di assecondare le pulsioni più viscerali di una società inferocita, priva di punti di riferimento, con una diffusa percezione di solitudine e abbandono, un lavoro sempre più precario, una mancanza assoluta di punti di riferimento, un sistema sociale inadeguato a far fronte alle difficoltà contemporanee e un assetto complessivo paragonabile a quello dell’immediato dopoguerra. E allora bisogna prendere spunto dal disastro cui sta andando incontro il soggetto che più di tutti ha soffiato sul fuoco dell’anti-politica per affermare che stanno venendo al pettine i nodi di un decennio di assurdità che hanno reso le istituzioni italiane un campo di battaglia. Ironizzare serve a poco, ridersela sotto i baffi ancora meno, gioire per le disgrazie altrui non è dignitoso né sensato. Approfittiamone, invece, per dire con chiarezza che senza partiti seri e strutturati, supportati da un adeguato finanziamento pubblico, al pari dei giornali, si genera un vuoto senza precedenti, e nel vuoto, come spiegava Gramsci alla vigilia del fascismo, nascono i mostri. Non solo: approfittiamone per mettere in risalto quanto sia stata sbagliata, dannosa e inutile la decisione di tagliare il numero dei parlamentari per compiere un puro sfregio, con tanto di ostentazione delle forbici fuori dal Parlamento, una grammatica anti-istituzionale ferina e una violenza argomentativa che autorizza chiunque a chiedere lo scioglimento immediato di un organismo che è stato presentato all’opinione pubblica alla stregua del “bivacco di manipoli” di mussoliniana memoria. Aggiungiamo che ci sembra davvero surreale che uno dei motivi del contendere, e della spaccatura fra deputati filo-Grillo e senatori filo-Conte, sia il numero di mandati, cui non dovrebbe essere posto alcun limite, se non quello stabilito dagli elettori quando si recano alle urne.

L’inizio del buio politico è stato il varo del Porcellum (novembre 2005), con la scelta di affidare alle segreterie dei partiti chi debba andare in Parlamento e chi no, creando oltretutto un sistema elettorale pessimo che favorisce il caos per impedire a chiunque vinca di governare (nel caso specifico, guarda un po’, si trattava del centro-sinistra). I successori sono stati addirittura peggio: dell’Italicum, fortunatamente raso al suolo dalla Consulta, al Rosatellum, con cui abbiamo votato nel 2018 e, se va avanti così, voteremo anche la prossima volta. Neanche troppo lentamente stanno, pertanto, venendo a galla tutte le storture, le ipocrisie e le incongruenze di un decennio nel quale la politica ha odiato se stessa e si è presentata al Paese nella sua forma peggiore, fino a generare una furia che le tre crisi che abbiamo dovuto affrontare non hanno fatto altro che aggravare. Ci troviamo, dunque, oggi a dover fronteggiare il dilagare della Meloni, erede di AN ma, soprattutto, dell’MSI e della destra che nella Prima Repubblica, con tutti i suoi difetti, era stata posta fuori dall’arco costituzionale. E con la resistenza tenace di Salvini, cui si sta arrendendo anche quel che resta di Forza Italia: due partiti che erano insieme nel 2001, ai tempi della scuola Diaz, della caserma di Bolzaneto e dell’omicidio di Carlo Giuliani in piazza Alimonda durante le manifestazioni contro il G8 di Genova. Ebbene, il leader del Carroccio si è recato a portare solidarietà agli agenti penitenziari di Santa Maria Capua Vetere, in parte indagati per dei gravissimi e documentati atti di violenza ai danni dei detenuti, lasciando presagire con chiarezza gli scenari che ci si presenteranno nei prossimi anni qualora dovesse tornare al governo in beata solitudine, insieme a tutta la destra che gestì quei giorni di vent’anni fa, con la non piccola differenza che le frange più estreme di quella coalizione oggi sono egemoni.

Aver demonizzato le ideologie, essersi proclamati orgogliosamente post-ideologici, aver assecondato il cupio dissolvi e le pulsioni demolitorie di alcuni sedicenti leader che hanno fatto del populismo egoriferito la propria cifra politica, aver privato chi ha meno risorse della possibilità di esprimere le proprie idee, sia a livello giornalistico che in ambito politico, aver creato, di fatto, un voto per censo, con una divisione deleteria fra centro e periferia, aver allargato i divari e ampliato e dismisura le disuguaglianze, aver privato milioni di persone della passione politica e di un brandello di rappresentanza, aver compiuto tutto questo ha condotto l’Italia in uno stato di isteria perenne, in cui l’infelicità regna sovrana, l’incertezza è totale, la rabbia non conosce argini, le nuove generazioni scappano per disperazione e per andare a cercare un futuro decente altrove e nessuna ripartenza sarà mai possibile, per il semplice motivo che non ne abbiamo più né la voglia né la forza. E Draghi, spiace dirlo, non è la cura a tutto questo bensì l’emblema di uno stato di crisi senza sbocco, il trionfo della morte della politica e del suo pervicace rifiuto di dotarsi di una nuova, sia pur minima, credibilità.

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