Teatro dell’Esilio. Due serate (memorabili) con Ottavia Piccolo e Stefano Massini

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A Teatro con ogni mezzo (dalle offerte you-tube al collegamento in streaming, dai canali tematici alle ‘piattaforme’ di resistenza alla pandemia), riconducibili all’unica connessione tecnologicamente possibile: lo schermo del computer o del televisore, digitalizzato e dilatato quel tanto da “non potere mai surrogare” la partecipazione in prima persona ai luoghi deputati della tradizione o della innovazione (lo spazio scenico e tutto ciò che “inventiamo” essere tale).

Pur nei limiti dell’attuale fruizione (da cui tanto  malumore), proviamo ugualmente ad aggiornare il nostro ideale taccuino di “teatro dall’esilio”, ove per questa volta primeggiano i nomi di Ottavia Piccolo e Stefano Massini.

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“Occident Express” è la  storia di un’anziana donna irachena che, nel 2015, percorre cinquemila chilometri per sottrarre la nipotina alla guerra. E ispirando Massini a trasformare il ‘viaggio di sopravvivenza’  in epica sofferta, deflagrante, modernissima, superlativamente incarnata da Ottavia Piccolo che interiorizza il ruolo di Haifa  (nata per star ferma) abbinandolo alla progressiva decantazione di una coscienza critica- la quale, e in prima istanza, è esternazione dell’orrore, della rabbia di vita, del “istinto animale” di proteggere anche, a costo della violenza reattiva, la creatura a lei affidata.

Lo spettacolo (nato dalla cooperazione fra lo Stabile dell’Umbria e le Offinine Multiculturali di Arezzo) fa parte della serie di appuntamenti teatrali, in onda su Rai5 e Rai Play, che “esaltano e sedimentano” il versatile talento di una delle attrici più amanili della scena italiana. Rendendo  conto, altresì, del suo decennale sodalizio con il  lo scrittore Stefano Massini. Un percorso  teatrale condiviso che ha decantato in forma di “deflagrazione della parola”  alcune delle più atroci emergenze sociali e geopolitiche del nostro presente.

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Un impegno collettivo nel racconto del contemporaneo che prosegue  con la programmazione di “Il sangue e la neve”, memorandum teatrale su Anna Politkovskaja”- trasposizione per lo schermo (in un linguaggio di nuda struttura drammaturgica), diretta da Felice Cappa. dello spettacolo “Donna non rieducabile” prodotto dalla cooperativa toscana.

La storia della lotta per la libertà e i diritti umani nell’orbita della  Russia putniana e delle regioni ad essa satelliti (della quale ci occupammo in singola recensione, al suo debutto)  è narrazione (confessione) di efferatezze, assassinii politici, ‘esecuzioni’ di condanne a morte pervenite dell’ ‘alto’ da chi non ammette dissidenza.

Anna Politkovskaja non era una militante politica, un’ eversiva irredentista della rivolta cecene Era solo una giornalista, anzi una cronista, rara testimone di una realtà tragicamente in trasformazione (a seguito delle nuove entità ed istanza post-sovietiche). Giornalista e donna, quindi: su questi due aspetti, il docu,film di Cappa, tratto da un altro  copione di Stefano Massini (concepito come “sciarada” di parole, nel cui flusso serve cogliere la frase significante), rielabora brani autobiografici e articoli di Anna Politkovskaja, strutturando una serie di sequenze che si intrecciano lungo il percorso professionale e umano della protagonista: dai reportage giovanili, ai primi tentativi di linciaggio, dalle interviste con i terroristi di Beslan, fino al tragico epilogo. Ottavia Piccolo dà sfogo all’orrore e allo smarrimento, alla dignità e all’amara ironia-  con la forza di una artista della voce, che in quei valori di libertà si è sempre identificata. Nel montaggio, le riprese  girate ad Alzano Lombardo, all’interno dell’ex cementificio Pesenti, sterminato esempio di archeologia industriale, si alternano –oltre al monologare sofferto ed orgoglioso dela protagonista- materiali di repertorio  tratti dalle tv russe e video realizzati dagli stessi rivoltosu. L’opera è stata presentata lo scorso anno alla Biennale del Cinema di Venezia (nella sezione Eventi per i Diritti Umani) ed è stata accolta da unanimi consensi.  Rintracciarla in home video è un dovere democratico. Per non dimenticare e sentire di “esserci”  ancora.


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