Brillanti carriere e civica educazione

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Uno dei più frequenti luoghi comuni considera la scienza dei numeri come una materia arida, caratterizzata da un’oggettività atona ed impassibile. Ma si tratta di un’impressione del tutto errata perché nulla è più espressivo dei numeri. Si pensi alle emozioni che provocano i centomila morti di Covid-19 in un solo anno in Italia, al numero dei morti nei campi di concentramento nazisti, al numero dei chilometri che ci separano da Marte o al numero degli anni che aumenta ad ogni compleanno, soprattutto quando il costo delle candeline supera il costo della torta. Sono in errore anche quelli che ritengono la matematica una scienza esatta perché tutto, nei numeri, è relativo. Basti pensare, per rimanere all’ultimo esempio, al numero delle candeline in relazione al numero delle porzioni della torta ed allo squilibrio, di questi tempi, fra i due dati in favore delle candeline. Perché, a causa del Coronavirus, vige il divieto dei festeggiamenti e le pasticcerie informano che, ormai, le torte le fanno solo su ordinazione non essendoci più la grande richiesta di un tempo. Ed è stato proprio per fare compagnia, almeno per il suo compleanno, ad un grande personaggio di qualche tempo fa, ormai in pensione, che ho invitato l’amico Umberto (il nome è di fantasia) ad una passeggiata, opportunamente distanziata e protetta da mascherine, lungo i viali di Villa Borghese a Roma.

Umberto è stato un importante manager, prima di imprese private e poi pubbliche, che ha attraversato molte stagioni politiche, imparando a navigare tra mille ostacoli in acque ristrette e ad immergersi in profondità dove le pressioni sono schiaccianti, sempre riuscendo ad evitare le secche, le mine e le bombe di profondità forse meglio di Marko Ramius, il leggendario comandante del sottomarino russo Ottobre Rosso.

Per stimolarlo verso i suoi sempre istruttivi ricordi, ho chiesto a Umberto di raccontarmi quale scontro politico gli fosse rimasto più impresso, quale fu la disputa sindacale che lo aveva più impressionato, quali manager italiani e internazionali lo avessero più colpito e infine quali traguardi di budget gli avessero dato più soddisfazione e ad ogni domanda lui ha risposto con dettagli nitidi, con commenti sagaci, con sintesi briose dimostrandomi, una volta di più, come la sua fama ed i suoi successi non fossero affatto immeritati.

Eppure, mentre camminavamo lungo i viali della splendida villa, tra alberi spogli per l’inverno o sotto il fogliame cupo dei sempreverdi, non ho potuto fare a mano di notare che Umberto camminava con le mani incrociate dietro una schiena curva, che lo portava a tenere la testa bassa e lo sguardo fisso a terra.

Ho pensato che fosse l’effetto di quelle fortissime tensioni che comportano le scelte da adottare una al minuto e del logorio di quegli scontri tra opposti in cui sono in gioco i destini di migliaia di padri di famiglia affidati alle decisioni del capo, quando persino lo staff rimane in silenzio, quasi sollevato di non avere la responsabilità di decidere, oppure di quella spossatezza che provocano i viaggi transcontinentali, quando l’ansia di un incontro, che forse sarà uno scontro, risucchia ogni energia, ben sapendo che tutto si giocherà sull’impressione di serietà e di affidabilità che si riuscirà a proiettare nell’interlocutore e dove si dovrà decidere, attimo per attimo, quando placare la voce o alzarla, sempre alla ricerca di un equilibrio tra ciò che si vorrebbe e ciò che si potrà ottenere, comunque nascondendo qualunque emozione nel dibattito condotto in un’altra lingua per ambo le parti e in un paese dove sono le nove di mattina, ma per te sono le tre di notte.

Colpito da quell’andatura, ho chiesto a Umberto come andasse la sua salute e mi ha risposto che era ottima, salvo qualche piccolo acciacco normalmente legato all’età ed arginabile con le tipiche medicine che tutti conoscono. Allora non ho potuto fare a meno di fargli notare che avevo osservato la sua postura durante la passeggiata e che non mi sembrava coerente con i racconti dei successi che avevano costellato la sua lunga e gloriosa carriera. Umberto mi ha risposto: “La pensione mi ha permesso di apprezzare il recupero della gestione del tempo che adesso appartiene solo a me e che posso finalmente decidere di impiegare come meglio credo. Tra i piaceri di questa mia nuova dimensione temporale, anche in adesione ad uno stile di vita sano, c’è stata la scelta di fare lunghe passeggiate muovendo dal mio quartiere abitato da persone che amano molto gli animali ed in particolare i cani ai quali dedicano abbondanti diete per testimoniare loro, tangibilmente, l’affetto per la compagnia che offrono. Durante le mie passeggiate ho dovuto affrontare ripetutamente le conseguenze di tanto affetto sicché, pesta una cacca oggi, pestane una domani, ho dovuto imparare a mie spese quanto sia importante vedere bene dove si mettono i piedi. Di qui l’abitudine a guardare costantemente il marciapiede che mi ha costretto ad assumere questa postura un po’ curva, certo, ma che tanto mi aiuta ad evitare le troppo numerose deiezioni che costellano il mio percorso.”.

Ora, se la maleducazione dei suoi concittadini è riuscita a piegare la schiena ad un leone del management d’impresa come Umberto, qualcosa non funziona nella nostra collettività e sarebbe bene che ciascuno ci pensasse quando porta a spasso il suo amato compagno di solitudine a quattro zampe.


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