Quattro anni fa il fallito golpe da cui è partita la più grave repressione dei diritti in Turchia

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Nella notte tra il 15 e il 16 luglio del 2016 un tentativo di golpe veniva sventato dopo un bagno di sangue: 151  le vittime.
Una fazione all’interno delle forze armate turche auto dichiaratesi “Consiglio di pace in patria” aveva tentato con una serie di operazioni ad Ankara e Istanbul di occupare alcuni luoghi strategici e simbolici tra cui il parlamento turco. A guidare il golpe, secondo le autorità giudiziarie, il fondatore del
movimento Hizmet, Fethullah Gulen, ex alleato di Erdogan in esilio negli Stati Uniti dal
1999.
Durante l’azione, molti edifici governativi, tra cui il parlamento turco e il palazzo presidenziale, furono bombardati.
Dopo il fallito colpo di Stato il presidente Recep Tayyip Erdogan, che i golpisti volevano deporre, ha scatenato la più vasta repressione nella storia della Turchia. Dal giorno dopo lo sventato golpe si sono susseguiti, e continuano ancora oggi, una serie di arresti di massa, circa 40mila, di cui 10 mila soldati, 2.745 giudici, 15 mila tra insegnanti e professori e decine e decine di giornalisti.

Simbolo delle repressione contro la libertà di informazione lo scrittore ed editorialista turco Ahmet Altan, 69 anni, condannato insieme al fratello Mehmet, alla giornalista Nazli Ilack, 76 anni e veterana della stampa turca, e altri quattro reporter. Quello nel loro confronti fu il primo di una serie di procedimenti giudiziari  contro i rappresentanti della stampa accusati di essere dei gulenisti e aver fatto parte del fallito golpe. A nulla è valsa la mobilitazione internazionale lanciata per la loro liberazione da Free Turkey Media che comprende noi di Articolo 21, Reporters Sans Frontieres e molte altre organizzazioni impegnate nella difesa della libertà di espressione.
A nulla è valsa la sentenza della Corte Costituzionale che aveva disposto la scarcerazione degli imputati perché erano stati violati i loro diritti umani.  Lo Stato di diritto in Turchia è morto la notte del 15 luglio 2016.
“Se la notte del 15 luglio di quattro anni fa la Turchia è riuscita a colpire pesantemente tutte le organizzazioni terroristiche, è perché si è sbarazzata del virus di Feto (la presunta rete golpista di Fethullah Gulen, ndr) che aveva invaso il suo corpo” ha detto il presidente turco in un discorso alla nazione durante le
commemorazioni per il quarto anniversario del fallito golpe.
Molti presunti affiliati dell’organizzazione di Gulen sono stati catturati all’estero e riportati
in patria dopo il putsch. Ankara ha ripetutamente chiesto anche l’estradizione dello stesso predicatore dagli Usa, finora negata da Washington.
Dal 15 luglio 2016 a oggi sono state effettuate 99.066 operazioni contro i golpisti, arrestati
282.790 sospetti e detenuti in 94.975. Attualmente sono 25.912 i detenuti in relazione al colpo di stato.
Un vero e proprio clima repressivo che ha permesso a Erdogan di inasprire il controllo del regime e avocare a se maggiori poteri.
La Turchia post 15 luglio ci ha riservato una serie di provvedimenti che hanno chiarito ogni ragionevole dubbio anche ai più attendisti: la deriva del governo turco dopo lo sventato golpe non ha più argini. Ma la fiducia nella gente di Istanbul e di Ankara, che alle scorse elezioni municipali hanno votato candidati anti Erdogan, fa credere che non sia troppo tardi. Solo il popolo turco può impedire che la speranza di un futuro di democrazia e di libertà di opinione e di espressione, svanisca definitivamente.


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