Dopo l’Ungheria, la Slovenia: la pandemia anti-democratica si espande

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L’abbiamo scritto qualche giorno fa e lo confermiamo: o si ferma l’orbanismo dilagante in Europa o dell’Europa stessa non rimarrà nulla. Il colpo di Stato sostanziale che è riuscito qualche giorno fa a Orbán ha fatto scuola, tanto che ora una deriva analoga sta avvenendo in Slovenia, ad opera del primo ministro di ultra-destra Janez Janša. Considerando che la Slovenia confina con il Friuli Venezia-Giulia e che l’Ungheria dista dall’Italia un’ora e mezzo di aereo, mi auguro di cuore che il governo italiano faccia sentire la sua voce per chiedere l’immediata sospensione di questi due paesi dal consesso continentale. E non mi importa nulla se l’attuale impianto normativo dell’Unione Europea non prevede l’espulsione neanche per quei membri che violano palesemente ogni norma democratica, arrivando addirittura a progettare, come in Slovenia, di “consentire – si legge sul sito dell’Espresso – agli agenti di pedinare i cittadini che si presume siano contagiosi, intercettandone anche le telefonate e perquisendone gli appartamenti senza bisogno di ordine del tribunale”.
Quando un governo prende in considerazione provvedimenti del genere, spiace dirlo, ma dev’essere sbattuto fuori senza se e senza ma. Devono essere ritirati gli ambasciatori dalla capitale del paese in questione, bisogna pensare persino a misure estreme come dazi e chiusura delle frontiere, è necessario usare una mano durissima ed essere inflessibili perché altrimenti, nell’arco di poche settimane, con la scusa del Coronavirus, ci saremo giocati quel che resta della democrazia nel Vecchio Continente.
E a quanti affermano che determinate norme non sono previste nell’attuale impianto normativo, bisogna rispondere che la politica serve esattamente a questo: a legiferare. Anche il divorzio e l’aborto, un tempo, non esistevano ma poi sono stati introdotti, al pari della chiusura dei manicomi e dell’abolizione del delitto d’onore.
Impedire a uno stato di trasformarsi in dittatura senza pagare per questo un prezzo altissimo significa provare a salvare l’Europa dalla sempre più probabile dissoluzione, specie se dovesse continuare ad avere la meglio il folle rigorismo nordico in merito alla gestione della crisi e alla questione degli Eurobond.
L’Italia dev’essere in prima linea in questa battaglia, se non per una questione etica, almeno per ragioni geografiche. Basta consultare una qualunque cartina, infatti, per rendersi conto che alcuni paesi giuliani distano dalla Slovenia poche centinaia di metri e che norme del genere impiegano pochissimo tempo a diffondersi a macchia d’olio, facendo gola a tutti coloro che sognano di approfittare della pandemia per dar vita a scenari che ricordano da vicino gli anni Venti del Novecento o giù di lì. Inutile nascondersi o minimizzare: chi sostiene che la dittatura non possa tornare, neanche in forme mascherate, o è ignorante o è in malafede.
Se l’Europa continua a tollerare questa deriva, vien quasi da pensare che la auspichi o sia comunque d’accordo. Poiché non è la nostra convinzione, ci auguriamo che intervenga con l’asprezza necessaria per porre fine a questo scempio. Qualora  non dovesse accadere, l’Italia dia un segnale inequivocabile: ritiri l’ambasciatore a Lubiana ed esprima pubblicamente solidarietà alla minoranza slovena che vive sul nostro territorio. Al contempo, bisognerà cominciare a ragionare ad alta voce sulla necessità di dar vita a una sorta di Europa mediterranea perché se l’asse germanico ha deciso di voltarci le spalle, stavolta restare insieme vorrebbe dire spianare la strada all’orbanismo, se non a qualcosa di peggio. Quanto all’allargamento indiscriminato dell’Unione Europea, infine, a sedici anni di distanza, possiamo dire, sempre ad alta voce, che si è trattato di uno dei più grandi errori politici e strategici della nostra storia recente. Uno sbaglio colossale di cui oggi paghiamo le conseguenze, al punto che qualche osservatore,  non propriamente ingenuo, sostiene, senza complottismi di sorta, che in realtà celasse l’obiettivo di impedire all’Unione Europea di essere ciò che avremmo voluto che fosse quando l’abbiamo concepita.

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