Quanto costa parlare di camorra: il caso del sindaco di Formia, querelata dopo le dichiarazioni in Regione

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Loro sono una famiglia di imprenditori incappati in una brutta misura di prevenzione emessa nel 2017 e che prevedeva obbligo di dimora e una serie di altre limitazioni. I fratelli Ascione sono stati considerati dalla Dda di Napoli vicini al clan Mallardo e per questo intervenne la confisca su un patrimonio da 48 milioni di euro, poi, a gennaio 2018, il provvedimento è stato profondamente riformato in Appello per Michele e Luigi Ascione, mentre in parte è rimasto per il terzo fratello, Giuliano. E a loro ha fatto riferimento il sindaco Paola Villa durante una scomoda audizione presso la Prima Commissione regionale per gli affari istituzionali. Ciò che disse a febbraio di un anno fa le è costato una querela per diffamazione a mezzo stampa da parte di Luigi Ascione, poiché quelle dichiarazioni furono riprese da molti media. Prima dell’azione legale vera e propria c’è stata una lettera di Ascione che ha definito il comportamento del sindaco di Formia un modo per procurarsi pubblicità. Val la pena, oggi, ossia dopo la notifica dell’avvio del procedimento penale a carico della Villa, ricordare cosa disse quel giorno il primo cittadino di Formia. Affermò, senza mezzi termini ma forse con qualche imprecisione sulle date, che la sua città ha un grave problema, la presenza di 12 famiglie di camorra collocate su una striscia di terra di cinque chilometri circa tra la montagna e il mare e che questa concentrazione sta logorando l’economia. Ha fatto anche il nome degli Ascione, che, va detto, avevano già allora ottenuto la riforma della misura di prevenzione. Però ha fatto anche altri nomi, da Bardellino a Giuliano, ai Mallardo, Esposito, De Angelis, pezzi di Belforte e la “stimatissima” Katia Bidognetti, condannata proprio in questi giorni. Questa parte della relazione di Paola Villa non ha ricevuto smentite,però, a dire il vero, non è stata sottoscritta da alcuno dei suoi colleghi amministratori, anzi da quel momento è stata un po’ emarginata. Non importa se una relazione dei carabinieri mette nero su bianco che un intero quartiere della vicina Sperlonga è stato costruito dal clan Belforte e altri sodalizi similari. Ha contato di più il silenzio degli altri amministratori che non l’appello, in fondo disperato, del sindaco dell’unica città che ha ammesso di avere un problema chiamato camorra. E infatti adesso è questo sindaco, non altri, a rispondere di diffamazione, seppure solo in relazione ad un riferimento impreciso, ossia quello a due dei tre fratelli Ascione.

Solo a titolo esemplificativo, a questo punto bisogna sottolineare che le querele per diffamazione in Italia vengono archiviate nel 97% dei casi ma sviluppano un giro d’affari di 54 milioni di euro l’anno e colpiscono quasi esclusivamente giornalisti che scrivono di criminalità organizzata, cronaca giudiziaria per fatti di corruzione e reati economici. E’ acclarato da innumerevoli rapporti che la querela per diffamazione a mezzo stampa viene utilizzata in Italia per scopi intimidatori, escluso quel 3% di casi in cui effettivamente si è consumata una lesione per il soggetto chiamato in causa negli articoli e/o nelle dichiarazioni. In un simile contesto il caso di Paola Villa non può che essere emblematico. E preoccupante come il silenzio degli amministratori delle città dello stesso comprensorio, rotto solo dalla nota di solidarietà del Presidente dell’Osservatorio regionale sulla criminalità nel Lazio. Pure questo è un dato statistico e niente altro.


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