Mariano Giustino, corrispondente in Turchia per Radio Radicale: “Minacciato perché denuncio ciò che accade in Siria”

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Recentemente sei stato oggetto di pesanti attacchi e minacce per la tua cronaca sulla guerra in Siria. Cosa è successo e chi sono gli autori di questi comportamenti?

Per qualche giorno sono stato attacco da fanatici sostenitori di Putin e di Assad.

Seguo quanto accade in Siria sin dal 2011, cioè sin dall’inizio della terribile guerra civile.

Dal 12 gennaio è ripresa una nuova escalation militare nella provincia ribelle di Idlib, nel nordovest della Siria, tra le milizie anti Assad alleate della Turchia e le forze dell’esercito di Damasco sostenute dalla Russia e dall’Iran che si contendono il controllo di quella che è l’ultima enclave ribelle.
L’ultimo cessate il fuoco proclamato l’8 gennaio è fallito ed erano ripresi i bombardamenti indiscriminati che hanno causato la fuga verso il confine turco di oltre 800 mila persone, prevalentemente donne e bambini.
La documentazione di questa orribile tragedia umanitaria che quotidianamente realizzo per Radio Radicale e che racconto sui miei account Twitter e Facebook, ha scatenato l’ira e l’odio di sostenitori del presidente siriano e di quello russo culminati in esplicite minacce di violenza fisica.

Centinaia di migliaia di civili stanno tuttora fuggendo in circostanze disperate in seguito all’operazione dello ‘’sfollamento di massa’’ da parte del regime siriano. La condizione umana di coloro che fuggono non è più sopportabile, né sostenibile. Dopo nove anni di guerra, molti di essi sono già alla seconda o addirittura alla terza fuga. Infatti la popolazione della provincia di Idlib è passata da 1 a 3 milioni di persone da quando è scoppiata la guerra e questo perché la regione è diventata il rifugio di quella popolazione siriana che fuggiva dai continui bombardamenti effettuati nelle altre parti della Siria, che man mano venivano riconquistate dalle forze di Assad.
Ora questa popolazione si trova ad affrontare temperature sotto lo zero e molte persone non hanno nemmeno tende in cui rifugiarsi. I medici riferiscono che i bambini muoiono per assideramento.

Questi insulti e minacce sono venuti prevalentemente da account con profili falsi per celare la propria identità. Nei profili di questi personaggi si inneggia ai bombardamenti di Assad in Siria che sarebbero giustificati dalla necessità di eliminare le fazioni ribelli e terroristiche che controllano quel territorio senza alcuna riguardo per la vita della popolazione inerme, costretta a fuggire dai propri villaggi rasi al suolo. I loro riferimenti simbolici sono quelli propri dell’ideologia ultranazionalista e neofascista. Vi sono anche richiami al conflitto nella ex Jugoslavia e si esalta il nazionalismo serbo e la figura di Miloseviç.

 Ti era mai successo in passato?

In verità è la prima volta che mi capitata di ricevere un simile attacco.
E ciò avviene a mio avviso anche perché anche in Italia si vive una fase in cui vi è da parte dei medi mainstream una sorta di sdoganamento dell’ideologia nazionalista e di estrema destra neo-fascista.
Al momento ho segnalato il caso sia all’account Twitter sia alla Polizia Postale.

 Secondo te, perché è così difficile parlare di Siria e perché chiunque denunci i crimini in corso finisce per essere attaccato e diffamato?

Credo che la lunga durata di questa terribile guerra, con i suoi orrori, abbia provocato nell’opinione pubblica globale una sorta di assuefazione.
Le immagini e i video delle torture subite per nove anni dalla popolazione civile che si era opposta ad Assad con il massacro di anziani, donne e bambini, vittime di attacchi premeditati, le cui abitazioni sono state ridotte in macerie assieme alle strutture sanitarie, alle scuole e alle panetterie, sembrano non suscitare più un adeguato sdegno.
Gli attacchi premeditati contro i soccorritori, contro le strutture sanitarie, contro i medici, contro le scuole con le bombe a barile, le armi chimiche, sembrano appartenere a una realtà remota.

Molto significativo è quanto ha affermato recentemente nel suo pluripremiato documentario intitolato ‘’For Sama’’, la regista siriana Waad al-Kateab, che ha raccontato i brutali massacri e le orribili sofferenze della popolazione di Aleppo:
“Milioni di persone hanno guardato il mio film, che è un documentario, ma nessuno ha fatto nulla. E non fanno nulla neanche davanti a quello che avviene ogni giorno a Idlib sotto i loro occhi’’.

Tutto è contro di loro scriveva il quotidiano Cumhuriyet nel documentare la tragedia di Idlib.

La popolazione inerme, costituita prevalentemente da donne e bambini è costretta, per sopravvivere, a cercare scampo fuggendo dai bombardamenti indiscriminati del regime di Assad sostenuto dalla Russia e dall’Iran e inoltre deve affrontare i rigori del gelo, la furia del vento e la fame.
A prescindere dal modo in cui si evolveranno gli eventi bellici, è evidente che il prezzo più alto sarà pagato dai quasi 3 milioni di civili intrappolati nell’inferno di Idlib.
Una parte consistente di queste persone hanno un passato di attivismo o di sostegno all’opposizione più o meno moderata e dunque sembra che non abbiano alcuna intenzione di ritornare sotto la giurisdizione di Assad e che nemmeno quest’ultimo sia felice di accoglierli. Il futuro per queste persone sarà quindi drammatico, perché non sono desiderate da Assad, non le vuole la Turchia che già ospita 3,7 milioni rifugiati siriani, non le vuole l’Europa per la sua politica di chiusura praticata dalle forze populiste e sovraniste che si stanno affermando un po’ ovunque.
L’Unione Europea ha scelto, per mancanza di visione e per l’assenza di una politica estera comune, di essere fuori dallo scenario mediorientale e si è concentrata su una politica di sicurezza basata sul mero contenimento del flusso migratorio e dunque temo che si accorgerà di Idlib solo quando tre milioni di civili in fuga dall’orrore busseranno alla sua porta.

Un’altra area molto sensibile che copri è quella turca, dove la libertà di stampa è minacciata continuamente. Come riesci a svolgere questo compito?

Considero il mio lavoro di documentazione col racconto meticoloso di ciò che accade come il fondamento stesso della professione di giornalista.
Non smetterò di denunciare massacri di vite umane, di democrazia, di stato di diritto ovunque si verifichino. E non posso fare a meno di pensare a tutti coloro che subiscono la censura del governo turco che pratica sistematicamente nei confronti di critici e oppositori per la loro attività intellettuale
Penso alle condizioni sempre più drammatiche in cui vive la società civile turca
che è sotto assedio da tempo. Arresti e intimidazioni stanno minando la risorsa democratica più preziosa della Turchia, la sua società civile che si è sviluppata e radicata fin dagli anni Ottanta e che è senza dubbio una delle più attive e combattive d’Europa con il lavoro prezioso che svolge in ogni ambito.
Penso a Osman Kavala, filantropo e presidente di Anadolü Kültür, esponente di spicco della società civile turca e dei diritti umani, ristretto dal 30 ottobre 2017 nel carcere di massima sicurezza di Silivri da 820 giorni e che rischia la condanna all’ergastolo aggravato con l’accusa surreale di aver tentato di “sovvertire l’ordine costituzionale e di rovesciare il governo di Erdoğan” attraverso le proteste antigovernative di Gezi Park di İstanbul nella primavera del 2013.
La Prossima udienza del suo processo è fissata per il 18 febbraio e Radio Radicale non mancherà di seguirla e di documentarla.


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