Aggredito 4 anni fa a Caivano mentre svolgevo un’inchiesta. Dopo 4 anni il reato andrà in prescrizione

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La prima volta che incontrai il mio avvocato mi disse che la controparte aveva offerto mille euro per chiudere la faccenda. Mai avrei immaginato che quello sarebbe stato il massimo che avrei potuto ottenere in seguito a una aggressione a Caivano, provincia di Napoli, in cui mi trascinarono all’interno di un cortile, in piena notte, facendo la mia telecamera in mille pezzi.
Ero lì per un’inchiesta sullo smaltimento illecito dei rifiuti.
Il danno riportato si aggirava intorno ai 2500 euro, senza contare che per un mese non potei lavorare se non grazie ai prestiti delle apparecchiature dei miei colleghi. Dura la vita per i collaboratori.
E così rifiutai. Ma le misi per iscritto di rifiutare qualunque altra offerta perché io volevo che fossero giudicati. Volevo vedere nero su bianco il loro nome in una sentenza di condanna. Non che questa esperienza mancasse a quei signori, come testimoniavano due pagine belle piene di precedenti penali. Ma mi disturbava il totale disprezzo per il lavoro che stavo svolgendo e per le persone che stavano assistendo: una pattuglia dei carabinieri davanti ai quali si è consumata l’aggressione.

Da quel giorno, il 9 settembre 2016, sono passati quattro anni. Solo giovedì scorso è stato possibile celebrare la prima udienza. Se dovessi spiegare il perché è passato tutto questo tempo senza che accadesse alcunché dovrei riassumere tutti i mali che affliggono la giustizia. A partire dalle difficoltà di notificare a uno degli imputati la data dell’udienza. I messi notificatori non ci sono mai riusciti in quattro anni. E ogni volta il giudice ha dovuto rinviare la causa. Significa che nei giorni precedenti ero partito da Roma (dove abito) per andare ad Aversa (dove c’è il tribunale di Napoli Nord competente), avevo atteso il mio turno – mediamente quattro o cinque ore – ed ero ritornato a casa con le pive nel sacco. E con me il mio avvocato difensore e quello di parte civile in rappresentanza del Sindacato Unitario Giornalisti della Campania che ringrazio per essermi stato accanto fin dalle prime ore di questa storia. Questo finché – al quarto tentativo fallito – il giudice ha disposto un accertamento per verificare eventuali mancanze. E magicamente giovedì scorso siamo riusciti a partire. Prima, però, c’era stato lo sciopero degli avvocati che ciclicamente protestano per le condizioni in cui sono costretti a lavorare. In una recente lettera inviata al ministro della Giustizia Bonafede il presidente del consiglio dell’Ordine degli avvocati del tribunale di Napoli Nord (come è chiamato quello di Aversa) Gianfranco Mallardo ha denunciato una copertura della pianta organica di appena il 30% e quindi cause che vengono assegnate mediamente con due anni di ritardo rispetto all’iscrizione a ruolo. Vale la pena di sottolineare che questo tribunale serve 38 comuni tra cui alcuni ad alta densità criminale come Giugliano, Casal di Principe e Casapesenna. Dove, cioè, Gomorra non è una serie televisiva.
L’altro colpo di scena è datato fine 2018: l’avvocato mi annuncia che alla prossima udienza il giudice sarebbe cambiato. Ha significato azzerare tutto e ricominciare. Poco male visto che non avevamo fatto grandi passi in avanti.

Giovedì scorso mi sono presentato in tribunale alle 9,00 come da convocazione. Entrando, ho trovato un’aula affollata come un pollaio: avvocati, testimoni, imputati ammassati in piedi davanti a un giudice che cercava di capire se un imputato era innocente o colpevole. Ho temuto l’ennesimo rinvio. Invece alle 16,15 sono riuscito a testimoniare, sette ore dopo; finalmente è partito il processo alle persone che mi hanno aggredito. Ho avuto il privilegio di essere interrogato dal loro avvocato, il quale ha sostenuto che dire sotto al muso di un giornalista «Ti devi fare i caz.. tuoi» non sarebbe una minaccia ma un’esortazione goliardica; che in fin dei conti la telecamera non costava così tanto; che la mia suscettibilità mi ha portato a credere che mi volessero fare del male. Volevo scomodare tutti i colleghi presenti e passati a cui sono state mosse le medesime accuse ma non ce l’ho fatta, mi è sembrato di buttare perle ai porci.
La prossima udienza è stata fissata a giugno 2020. Uno dei due carabinieri che doveva rendere testimonianza giovedì non si è potuto presentare a causa di un concorso.
Il mio processo è destinato alla prescrizione. Non per l’abilità di avvocati difensori che hanno messo in atto strategie dilatorie. Hanno dovuto semplicemente assistere all’ingolfamento del sistema giudiziario in cui la parte amministrativa (dove si lamenta sempre la presenza di questi ormai leggendari cancellieri) fatica a seguire quella giudicante e quest’ultima fatica a far fronte alle richieste di giustizia di un mondo reale in cui tutto pare essere diventato di rilevanza penale. E sarò sincero: nonostante sia la parte offesa e abbia tutto da guadagnare non vedo l’ora che finisca. Mi inorridisce e mi deprime l’idea di essere all’interno di questo calderone all’infinito. Figuriamoci se ci fossi in veste di imputato.


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