Genova e CasaPound, ecco perché ci sono stati gli scontri: tutti gli errori della forza pubblica

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Piazza Corvetto, se la si osserva al riparo della speculazione politica, è soprattutto la storia di un fallimento tattico e strategico da parte della forza pubblica. Gli scontri tra la polizia e le frange violente, che si erano messe in testa alle centinaia di manifestanti pacifici contro il comizio di CasaPound in piazza Marsala, potevano essere evitati. Se invece sono divampati e hanno coinvolto persone non violente è a causa di una lunga serie di errori. Visibili dal vivo a occhio nudo.

Il primo errore è stato quello di non capire che autorizzare quel comizio era una bomba a orologeria. Chi non ha posto il veto ha dimostrato di non conoscere la piazza genovese: era scontato che la presenza così ostentata di una formazione neofascista avrebbe calamitato quel tipo di contromanifestazione. A questo si è aggiunto l’abbaglio di schierare contingenti di polizia in arrivo da fuori: la presenza di quei reparti ha portato in prima linea agenti che ignoravano la Piazza e le piazze. Non avevano il polso della situazione su chi fosse a Corvetto (gente di mezza età, reduci dal G8, pacifisti, portuali, giovani, esponenti della sinistra e – certo – un gruppo di esagitati), né avevano contezza di eventuali loro spostamenti sbagliati.

Così, quando il dirigente ha schierato un plotone tra le grate e la massa che pressava, lo scontro è diventato inevitabile. Il gioco poteva essere condotto ancora per un’ora come si era snodato fino a quel punto: la massa saliva verso le grate, si scontrava senza effetti sullo schieramento immobile di polizia, veniva allontanata con il lacrimogeno, si rialzava e rimetteva in moto il pendolo. Dopo cinque o sei movimenti del genere, la piazza poteva essere sciolta dichiarando concluso il comizio neofascista e lasciando ai manifestanti l’impressione di aver vinto la contesa.

Invece, messa sul tavolo l’opzione del contatto, il contatto c’è stato. Consentendo di speculare sull’intenzionalità di crearne le condizioni. Tanto più che le vie di fuga erano state tutte chiuse, tranne via Santi Giacomo e Filippo: quando la polizia ha dovuto scaricare proprio su quella strada, allontanando gli autonomi, ecco che l’equilibrio si è rotto.

Da un lato la manovra ha esposto al rischio di scontri tutti i manifestanti pacifici, che già erano stati travolti da un centinaio di lacrimogeni inspiegabilmente sparati a campanile (arrivati così fin sotto la Prefettura); dall’altro ha fatto correre a un contingente di carabinieri il rischio di essere colto alle spalle da gruppi fuggiti da via Serra e riparati su via XII Ottobre. La cosa avrebbe avuto conseguenze. Alcuni lacrimogeni che erano finiti oltre le camionette, infatti, sono stati rispediti da una manciata di ragazzi proprio in mezzo ai militari schierari e fermi.

In mezzo, alcuni errori spiccioli: la polizia non deve rispondere alle provocazioni, invece, provocata, l’ha fatto. Con contro-lanci di bottiglie e altri oggetti da parte degli agenti e con altri atteggiamenti di sfida in risposta ad atteggiamenti di sfida. Anche in questo caso, a rischio sono finiti i manifestanti pacifici, a vantaggio dei pochi facinorosi incappucciati che potevano essere tranquillamente isolati (il servizio d’ordine dei portuali aveva già provveduto a contenere un paio di suoi ragazzi).

Arrivati allo scontro, per la resistenza al ripiegamento di una decina di uomini con il casco in testa e armati di bastoni, ecco la reazione più scomposta. La carica è stata disorganica, generalizzata e brutale: prova ne è il fatto che a subirne le conseguenze tra la gente in fuga sulla collina dell’Acquasola, sia stato il giornalista Stefano Origone di Repubblica, colpevole solo di essere sul posto di lavoro. La veemenza con cui è stato picchiato svela la pressione cui sono stati sottoposti i poliziotti.

Fonte: https://www.ilsecoloxix.it/…/dalle-grate-alla-tattica-la-ca…

Photo Davide Pambianchi


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