“Non tornerò in Turchia, sarebbe un suicidio”. Intervista a Asli Erdoğan, la scrittrice turca che rischia l’ergastolo 

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La scrittrice e pubblicista turca Asli Erdoğan è stata insignita, il 21 marzo 2019 a Trieste, dell’International Award “Trieste, diritto di dialogo”. La giuria, presieduta da Gabriella Valera, ha inteso assegnarle il riconoscimento per il suo impegno civile in difesa dei diritti della persona, in particolare delle donne e delle minoranze etniche, della libertà nelle opinioni politiche e nel pensiero, per l’impegno per l’abolizione della tortura nelle carceri e contro la violenza di ogni genere. La scrittrice, imprigionata il 16 agosto 2016 per la sua attività di opposizione al regime antidemocratico di Recep Tayyip Erdoğan, liberata dopo 136 giorni per il vasto movimento internazionale d’opinione diffusosi in suo sostegno, vive attualmente in Germania, in attesa di un processo per cui rischia nel suo Paese l’ergastolo per “aver agito per la distruzione dell’unità dello Stato”. Ho approfittato della sua presenza a Trieste per realizzare questa intervista per Articolo21, quotidiano nato nel segno della difesa della libertà di opinione e di stampa.

Buongiorno Asli, grazie dell’intervista, che vorrei cominciare con una nota lieta. Sono io la scrittrice e giornalista italiana che, conoscendo la tua attività, parte della tua opera letteraria e quanto per il tuo impegno rischi, ha avanzato la tua candidatura a questo premio. Sono molto felice che la giuria ti abbia scelto fra altre impegnate e ammirevoli personalità, e vorrei chiederti, innanzi tutto, cosa pensi di questo riconoscimento.

Grazie della candidatura e grazie di cuore alla giuria per avermi scelto. Sono molto felice, naturalmente, di questo riconoscimento. Perché sottolinea il valore della libertà di pensiero e del dialogo, che ho sempre sollecitato e difeso, e perché mi porta in Italia, Paese nel quale sono poco conosciuta. Spero che questo premio possa servire a portare maggiormente all’attenzione non solo il mio impegno per la pace, il dialogo, i diritti e la democrazia, così assente dal mio Paese, ma anche ad avvicinare l’editoria italiana e le persone alla mia opera letteraria. Sono inoltre molto felice di essere a Trieste, così vicina alla Duino del grande poeta Rilke, dove mi recherò domani per conoscere questo luogo così fondamentale nella produzione di questo scrittore che molto amo.

Passiamo, purtroppo, a note più dolorose. Come vedi il contesto politico e sociale dell’odierna Turchia?

Penso che il governo di Erdoğan è una vera e propria giunta militare, la peggiore che ci sia mai stata nella Turchia sconvolta da vari colpi di stato e sempre in grave difetto di democrazia. I colpi di stato del 1971 e del 1980 hanno visto al potere giunte che hanno promulgato leggi marziali e misure straordinarie di sicurezza, torturato, processato e pronunciato gravi sentenze verso trentamila persone, ma con la giunta di Erdoğan siamo arrivati, con le condanne, a tre volte di più, e tutto questo non sconvolge troppo gli stati democratici, sembra quasi normale. Sono tutti in prigione in Turchia, giornalisti, militari, funzionari o impiegati dello Stato, con processi celebrati da giudici di nuova nomina e di nessuna esperienza. Per un attimo abbiamo pensato a una possibile entrata della Turchia in Europa, ormai ne è completamente fuori.

A proposito di processi, cosa ne è del tuo? Deve ancora essere svolto e rischi ancora l’ergastolo? E pensi di tornare in Turchia?

Certo che rischio l’ergastolo. Il mio processo viene continuamente rimandato, siamo al terzo rinvio attualmente; e è nelle mani di un giudice come quelli a cui accennavo prima, un trentenne che non ha alcuna esperienza. In Turchia non ho nessuna intenzione di tornare, sarebbe un’azione suicida. Anche se Istanbul mi manca, non tornerò di certo nella mia terra per farmi incarcerare. 

Cosa pensi del recente ritiro delle truppe USA dal fronte siriano? Credi che questo favorisca le mire di Recep Tayyip Erdoğan rispetto alla questione curda?

Certamente sì, ma non segna una grossa novità, perché i due statisti si sono sempre spalleggiati. Credo che Trump, Erdoğan, Urban e Putin si somiglino e si spalleggino l’un l’altro: megalomani di un grande teatro, che incoraggiano il populismo e la deriva della democrazia, e che purtroppo godono di popolarità.

Parliamo anche della tua scrittura. Quali sono, attualmente, i tuoi progetti?  

Grazie della domanda, mi sono sempre considerata soprattutto una scrittrice. Anche se spesso vengo definita una giornalista, in realtà non lo sono mai stata nel senso più comune del termine, non ho mai fatto cronaca o giornalismo politico propriamente detto, né collaborato continuativamente con un giornale. Ho tenuto solo alcune rubriche periodiche. In fondo la mia voce, a livello giornalistico, è stata una piccola voce, ma evidentemente scomoda. Credo di aver ricevuto da questa giunta (così Asli definisce ripetutamente il governo Erdoğan, n.d.a.) un trattamento sproporzionato rispetto all’importanza della mia voce nel giornalismo. Nel giornalismo vero e proprio è richiesto un ritmo immediato, veloce, un minimo di aggressività, io invece sono una persona introversa, riflessiva, lenta, una scrittrice appunto, che ha bisogno di cercare e limare le parole. Come sai sono poco tradotta in Italia, spero che in futuro l’Italia possa conoscere meglio la mia scrittura. Per il resto, sono stata completamente tradotta in Francia e in modo molto consistente in Germania. Attualmente sto rivedendo la versione tedesca di “Das Haus aus Stein” (La casa di pietra), perché l’editore vuole farne una riedizione un poco diversa dalla precedente. È un libro sulla situazione carceraria turca che ho scritto in un periodo molto difficile, per il Paese e per me, mentre mi sentivo molto minacciata e molto condizionata nella mia libertà; ora è molto interessante rivisitarlo nel mio nuovo stato di donna libera.

Qual è tra i tuoi libri quello a cui sei maggiormente legata?

“Kirmizi Pelerinli Kent” (La città dal mantello rosso), legato, in un romanzo poetico e visionario, alla mia esperienza in Brasile. Penso di poterlo considerare, come la protagonista del libro – una studentessa di Istanbul che si immerge sempre più profondamente e pericolosamente negli abissi di Rio de Janeiro per poterne scrivere – il libro della mia vita. 

Grazie Asli, ti auguriamo e ci auguriamo, effettivamente, che la tua scrittura possa essere maggiormente tradotta in Italia.


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