Kenya. Un mese dal rapimento di Silvia Romano. E già non se ne parla più. Come di padre Marcalli

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Una felice e rapida soluzione del rapimento di Silvia Romano sembrava a portata di mano appena tre giorni che la volontaria milanese (impegnata in progetti per l’infanzia) era stata inghiottita nella foresta. Le autorità kenyane ed italiane si dissero sicure della imminente liberazione della giovane sequestrata nel villaggio di Chakama (Kenya) lo scorso 20 novembre. Ma a più di un mese di distanza si sa poco sulla vicenda, praticamente silenziata dal punto di vista giornalistico. Vengono annunciati arresti eccellenti (tra cui anche uno dei tre rapitori) a cui non fanno seguito notizie incoraggianti sul rilascio di Silvia. Si ipotizza che sia prigioniera nel “cuore di tenebra” di una foresta praticamente inespugnabile. Il profilo criminale dei sequestratori (pastori nomadi della tribù Orma di origine somala) non sembra particolarmente complesso da giustificare una detenzione così lunga ed in grado di resistere alle ricerche di esercito, polizia, rangers nonché della nostra intelligence. Certo sono persone che conoscono come le loro tasche quei luoghi, una conoscenza essenziale per sopravvivere in un luogo inospitale e pericoloso per la presenza di rettili velenosi ed altri pericoli. E’ stata anche vietata la navigazione del fiume Tana per evitare che i rapitori possano raggiungere la Somalia e “cedere” l’ostaggio ad altri criminali, in primo luogo gli Shabaab, i terroristi somali vicini ad Al Qaeda. Ma c’è qualcosa che non quadra, fosse anche un granello di sabbia che ha bloccato il complesso meccanismo di una trattativa per il rilascio sicuramente avviata subito, con la richiesta delle autorità italiane di ricevere una prova dell’esistenza in vita di Silvia.

E si parla poco anche del sequestro del missionario Pier Luigi Maccalli, rapito lo scorso 17 settembre in Niger probabilmente da terroristi islamisti provenienti dal Mali e dal Burkina Faso. Padre Maccalli era impegnato in progetti scolastici per i bambini di uno dei paesi più poveri del mondo. Lo scorso 4 dicembre il vescovo della diocesi di Niamey (da cui dipende padre Maccalli) ha riferito che il missionario è vivo e sta bene, segno di trattative in corso per la liberazione.

I tempi lunghi mal si coniugano con la preoccupazione per gli ostaggi. Ci auguriamo che il silenzio che sta accompagnando Silvia Romano e padre Pierluigi Maccalli si tramuti al più presto in una bella notizia per tutti coloro che hanno a cuore le sorti di due persone impegnate nel fare del bene per gli altri, senza nulla chiedere in cambio, se non un sorriso dai bambini che sono diventati la loro ragione di vita.


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